AGI - Il mercato non può dare tutte le risposte. Il populismo è una falsa medicina. La speculazione finanziaria è responsabile di stragi e fame. Alla fine cosa salverà questo mondo di nessuna memoria e cento egoismi? Papa Francesco risponde: la fratellanza. Concetto che accomuna, se declinato nel giusto modo, cristianesimo e mondo moderno. Diceva Jean Guitton, filosofo cattolico al di sopra di ogni sospetto, che il “fraternità” della Rivoluzione Francese altro non era se non la carità spiegata ai laici. Chiudere lo iato di due secoli di incomprensioni pare sempre più essere una delle cifre dell’attuale pontificato.
Bergoglio tende la mano alla modernità nel momento in cui questa annaspa: i nodi sociali vengono al pettine, la pandemia ha messo a nudo “tutta la nostra fragilità”. Francesco d’Assisi aveva la risposta già un secolo e mezzo prima della Grande Peste del 1348. Diamogli ascolto, suggerisce il suo omonimo: adesione al Vangelo, totale e libera dalle glosse. Una speranza, un invito. Anche un rischio, se si vuole, perché Francesco, per restare nell’esempio, era diacono ma non economista, e la sua risposta alle crisi dell’epoca (a ridosso della Grande Peste arrivò il crollo del Banco dei Bardi, e fu una specie di ‘29) di carattere teologico e religioso, non certo tecnico.
La 'Fratelli Tutti' è, anche da questo punto di vista, francescana fino in fondo. Nel senso che pone in modo profetico le radici del riscatto, ma lascia aperta l’ultima pagina, quella della formula economica da seguire per attuarlo concretamente. In questo Bergoglio si rifà molto all’approccio di Giovanni Paolo II, che nella Laborem Exercens tematizza il tema del lavoro, indica le storture del suo tempo (il collettivismo del socialismo reale prima di ogni altra cosa) ma lascia aperto il capitolo dell’analisi del mercato.
Tanto che successivamente, nella Centesimus Annus, si trova a sottolineare che “la libertà nel settore dell’economia senza essere inquadrata in un solido contesto giuridico” è foriera di arbitrii e sopraffazioni. Ma non manca di criticare l’assistenzialismo di Stato, e così facendo di fatto apre la porta al connubio successivo tra tanta parte del pensiero economico cattolico e la Scuola di Vienna.
Forse è per questo che due papi del Ventesimo Secolo, Roncalli e Montini, ebbero modo di intervenire sui temi sociali dando una loro chiara indicazione anche sulle scelte alternative, basate sulla formula dell’economia imprenditoriale e della responsabilità. Il primo preparò, il secondo perfezionò la Costituzione Pastorale del Vaticano II denominata Gaudium et Spes: vero e proprio documento sistematico, breve e completo, in cui l’analisi dell’esistente si affianca all’individuazione di un modello virtuoso da seguire. Un modello in cui il mercato di per sé non è per nulla un elemento negativo, favorendo lo scambio, e l’impresa un organismo dotato di piena legittimità.
In essa il principio della proprietà si fonde, nella sua responsabilità sociale, con quello dei diritti e dei doveri di chi presta la propria opera. Una partecipazione comune ad una iniziativa comune, con le distinzioni dei ruoli dei singoli e delle retribuzioni, diretta non solo al profitto ma alla realizzazione di una ricchezza che divenga destinata a tutti, in uno schema di sana redistribuzione perché si sa, chi non lavora non mangi.
Questo implica un ruolo preciso dei poteri pubblici, che sia di orientamento, stimolo, coordinamento e integrazione. Per intenderci: non certi i panettoni di Stato. Una economica mista, quella che si profila, in cui lo Stato si poggi, per la realizzazione sociale degli obiettivi economici, alla sussidiarietà offerta dalla società civile.
Ora, è quest’ultimo punto il vero contributo del Novecento allo sviluppo del pensiero economico: il ruolo del pubblico, dello Stato. Un interrogativo nato, in realtà, nella Napoli delle riforme settecentesche ma mai del tutto risolto. O meglio, sempre risolto e sempre riaperto, perché l’evoluzione dell’economia e della società sono, per l’appunto, concetti in continuo divenire. Una risposta che duri l’eternità non esiste, almeno nella prassi economica.
Questa è esattamente l’ultima pagina della 'Fratelli Tutti'. Deve essere ancora scritta, perché gli stessi francescani ci misero molti decenni per elaborare una loro idea originale di sviluppo economico (alla fine lo fecero, trovando soluzioni di profonda modernità). Questa è la scommessa cui la Chiesa di Bergoglio dovrà rispondere il prima possibile, perché certe porte non possono restare aperte troppo a lungo, pena il lasciar entrare in casa ospiti indesiderati. Farli uscire, poi, sarebbe cosa molto difficile.
Non a caso, si direbbe, alla fine di novembre il Pontefice ha già fissato un appuntamento. Sempre ad Assisi, sempre all’ombra dell’insegnamento dell’uomo che ricostruì la Chiesa prendendo, come prima fatica, mattoni e calce. Il convegno si protrarrà per due giorni e si svolgerà on line, perché il coronavirus sta riprendendo forza. Il titolo è “L’economia di Francesco”. L’ambizione del progetto è evidente, come anche il fatto che le conclusioni dovranno essere adeguate ai tempi. In caso contrario, il fallimento sarebbe epocale. Fuori, nel mondo, la finanzia dominatrice fa strage, la fame aumenta, il populismo si rafforza. E si combatte, strisciante e letale, una guerra mondiale a pezzi.