AGI Giuseppe Sala non rinuncia alla prescrizione, scelta che l’avrebbe esposto al rischio di una conferma della condanna in primo grado, nel processo d’appello in cui è accusato di falso ideologico e materiale per avere retrodatato due verbali quando guidava la macchina organizzativa di Expo.
Il suo avvocato, Salvatore Scuto, ha cercato di convincere i giudici che il sindaco di Milano, anche se è presente una causa di estinzione del reato, vada comunque assolto perché “dagli atti risulta evidente la sua estraneità”.
La prescrizione era già maturata dal novembre del 2019, dopo che, a luglio, gli erano stati inflitti sei mesi di carcere convertiti in una multa di 45mila euro nell’ambito della tormentata inchiesta sulla gara d’appalto per la Piastra, l’opera più importante dell’Esposizione.
La strategia della difesa è stata paragonata dal magistrato dell’accusa, Massimo Gaballo, al desiderio di “volere la moglie ubriaca e la botte piena”. “Capisco che la prescrizione non sia una bella cosa – ha detto – ma Sala rinunci alla prescrizione se vuole un’assoluzione nel merito”.
Per il suo difensore invece ci sarebbero tutti i presupposti per spazzare via il cuore delle accuse anche senza accollarsi il rischio di una condanna facendo entrare nel vivo la questione. Basta leggere la sentenza di condanna, è l’argomento di Scuto, per rendersi conto di trovarsi di fronte a una sentenza “che crea un’ingiustizia perché Sala è stato condannato in solitaria (gli altri imputati sono stati assolti, ndr) e dopo che lo stesso Tribunale ha ritenuto in maniera netta che non abbia partecipato alle riunioni operative, né è mai stato informato della decisione che alla fine fu presa”.
La decisione a cui si riferisce è quella firmata da Sala nel maggio 2012 per sostituire due componenti della commissione della gara chiamati ad assegnare l’appalto. Un reato 'a fin di bene', si legge nelle motivazioni del primo grado, “per assicurare la realizzazione in tempo utile le infrastrutture necessarie alla realizzazione e al successo della manifestazione, poi conseguito”.
Comunque un reato “perché era consapevole di firmare dei verbali retrodatati". Argomenti che sembrano avere almeno suscitato dei dubbi nei giudici, presieduti da Cornelia Martini, che hanno chiesto tempo fino al 21 ottobre “per riflettere”.
Da ricordare che su questa indagine nel 2014 si giocò una parte importante dello scontro in Procura con l’allora capo del pool anticorruzione, Alfredo Robledo, poi uscito dalla magistratura, che accusava il suo capo Edmondo Bruti Liberati di non voler indagare su Expo. Poi la Procura Generale avocò l'inchiesta per l'inerzia della Procura guidata da Bruti e, dopo molo tempo, si è arrivati al processo d'appello iniziato mesi dopo il gong della prescrizione.