AGI - Nel 2007 l’Asl di Bergamo, poi diventata Ats, aveva redatto un piano pandemico locale che prevedeva, tra le altre cose, stoccaggi dei dispositivi di protezione per i medici di base, “procedure ad hoc” nelle Rsa per affrontare l’evenienza e l’incremento dell’assistenza domiciliare per i pazienti.
“Se lo avessero applicato - considera Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo - le cose sarebbero andate diversamente”.
Il ‘documento per la gestione delle emergenze sanitarie in caso di pandemia influenzale’, ottenuto dall’AGI attraverso una richiesta di accesso agli atti col Foia, prevedeva una serie di misure di prevenzione, molte delle quali mai applicate, che avrebbero potuto rendere meno gravoso il bilancio della vittime in una delle province più colpite nel mondo dal coronavirus, dove i morti sono stati oltre tremila.
Nel dossier numeri di telefono mai più aggiornati
Il dossier di una quarantina di pagine, che contiene decine di nominativi di riferimento di funzionari e dirigenti preposti alla sua attuazione coi relativi recapiti telefonici, molti dei quali nel frattempo andati in pensione, non è mai stato aggiornato. Affronta alcuni dei temi cruciali della pandemia, a cominciare da quello delle protezioni per gli operatori sanitari la cui mancanza ha provocato decessi e ricoveri in questa categoria, oltre che aver favorito la diffusione del contagio nei luoghi di cura.
In un passaggio si prevede la “valutazione del fabbisogno dei presidi di protezione per MCP (medici delle cure primarie, ndr) e assistiti presso le farmacie territoriali (sarà valutata la possibilità, previo convenzionamento con le farmacia della provincia, di garantire gratuitamente ai MCP i presidi) e valutazione del fabbisogno per MCA (medici di continuità assistenziale, ndr) e loro assistiti: acquisto, stoccaggio presso il magazzino economale della ASL e distribuzione attraverso i distretti socio sanitari”.
L'assistenza domiciliare rimasta sulla carta
Viene contemplata anche la questione dell’assistenza domiciliare che, come riferito da tantissimi residenti nella provincia bergamasca, è mancata nei mesi più duri. Tante le testimonianze raccolte nelle denunce in procura e dai media di chi ha atteso per mesi a casa di essere visitato, pur in presenza di sintomi, anche gravi, riconducibili al Covid. Molte persone sono morte senza avere mai visto un medico.
“Definizione del piano di incremento dell’assistenza domiciliare - si legge tra le previsioni del documento - in sincronia col piano pandemico locale, previa definizione di accordi con le organizzazioni sindacali di categoria, individuazione e accantonamento delle risorse necessarie”.
Si erano intuite anche le difficoltà che avrebbero dovuto affrontare le Rsa, che invece si sono trovate impreparate diventando il luogo simbolo dell’ecatombe: “Nel corso dell’ordinaria attività di vigilanza sui requisiti di accreditamento, programmata annualmente in tutte le unità d’offerta socio-sanitarie provinciali, verrà svolta un’azione di sensibilizzazione e accompagnamento affinché in ogni struttura venga redatta una procedura ad hoc da adottarsi nell’eventualità di ogni pandemia”.
Le indagini della Procura di Bergamo
Nella premessa al documento, viene spiegato che nell’ottobre del 2006 è stato redatto un Piano pandemico regionale lombardo, e a dicembre la Direzione Generale della Sanità ha precisato che ogni Asl dovesse disporre un Piano locale “finalizzato all’attuazione degli interventi secondo le priorità previste dal livello nazionale declinate nel documento regionale”.
Il tema delle responsabilità nell’attuazione degli interventi che avrebbero potuto mitigare gli effetti della pandemia è al centro di un’indagine in corso della Procura di Bergamo, che ha portato gli inquirenti anche a Palazzo Chigi per ascoltare il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e alcuni suoi ministri, dopo che erano già stati sentiti i vertici di Regione Lombardia.
Secondo Pier Paolo Lunelli, autore di un dossier in mano alla Procura, l'assenza di un piano pandemico adeguato a livello nazionale ha reso più complicato anche individuare chi dovesse fare e cosa e, di conseguenza, individuare gli eventuali responsabili.
Le "sei fasi" dimenticate
Il documento della Asl di Bergamo precisa come si suddivida la catena di comando nelle 6 fasi della pandemia, dalla prevenzione alla fase in cui esplode: Direzione Generale Sanità, quindi Regione, e Asl nelle fasi 1, 2 (monitoraggio e sorveglianza) 3, 4 e 5 (coordinamento assistenza primaria e specialistica), che vengono affiancate dalla Prefettura e dall’Unità di Crisi nella fase 6 (interventi di tutte le strutture operative, tecniche e sanitarie addette al soccorso).
“Ci erano state date tutte le linee guida dall’Oms e dall’Europa - commenta Consuelo Locati, legale del Comitato Noi Denunceremo di cui fanno parte tanti bergamaschi che hanno perso dei familiari e denunciano possibili responsabilità di Stato e Regione -. Se le avessimo seguite, avremmo avuto gli strumenti per affrontare una situazione di questo tipo con 10mila morti in meno, come indica il rapporto Lunelli. Di fatto questa mala gestio prosegue con il mancato tracciamento obbligatorio immediato dei turisti italiano di rientro dai Paesi a rischio e, prima ancora, con la riapertura delle discoteche e la successiva chiusura per l’incremento dei contagi. Ci chiediamo cosa deve accadere ancora perché chi è responsabile di tutto questo decida di assumersi le proprie responsabilità e decida di andarsene”.
L'Ats: "Noi vittime degli sbagli dell'Oms"
Secondo l’avvocato Angelo Capelli, nominato a maggio come consulente legale da Ats Bergamo sulla gestione dell’emergenza, “l’Oms ci ha mandato una serie di alert sbalestrati, siamo andati avanti fino a metà aprile a fare cose che diceva l’Oms ma che erano sbagliate. E’ mancato l’incipit, in questa storia. Come faceva a esserci un piano giusto se ogni settimana l’Oms cambiava le indicazioni?”.