AGI - Durante il lockdown si sono presentate anche persone che non mangiavano da 4 giorni, una situazione molto anomala in una città come Milano che ha una solida rete di assistenza per i più fragili. Ora, a chiedere aiuto, sono tante famiglie italiane e uomini e donne più giovani. Sono i ‘nuovi’ poveri, dolente eredità del coronavirus che chiedono aiuto alle associazioni di volontariato. E lo faranno anche a ferragosto con le modalità imposte dalla prevenzione del contagio coi ‘pacchi’ per sfamarsi che ora si ricevono dentro ai sacchetti.
"Ora vengono persone dai 35 ai 50 anni"
“Agosto vede arrivare da noi lo stesso numero di persone dei mesi precedenti - spiega all’AGI Luigi Rossi, vicepresidente di ‘Pane quotidiano’ che da oltre un secolo distribuisce generi alimentari e aiuti economici e ha due sedi in città - il che significa che si registra un aumento di richieste di circa il 30 per cento perché in questo mese di solito viene meno gente che nel resto dell’anno. Noi non censiamo gli ospiti, ma vediamo che arrivano soprattutto anziani italiani, oggi ci troviamo di fronte a diversi italiani di ‘mezza età’, dai 35 ai 50 anni, una situazione che certo è figlia del Covid.
Sono cittadini, ragiona, che “magari prima mettevano in tasca 1350 euro al mese e ora sono in cassa integrazione e ne prendono 800, manca una fetta di reddito importante. Li aiutiamo evitando che tirino fuori i soldi per la spesa”.
"Famiglie col terrore di finire in strada"
Operatori e volontari del ‘Progetto Arca’, altra coriacea realtà di aiuto milanese, distribuiranno in stazione Centrale il 15 agosto anguria fresca e 10mila bottigliette d’acqua ai più fragili ai senza dimora, utile refrigerio a chi sta molte ore sotto al sole.
“Stiamo notando due cose - spiega Costantina Regazzo, direttrice dei servizi -. La prima è che le persone in strada hanno bisogni sanitari più alti per la difficoltà dei servizi a rimettersi in moto e, per questo, abbiamo potenziato i servizi infermieristici delle unità sul campo. La seconda è il terrore delle famiglie che ci chiamano: c’è chi ha paura di perdere il lavoro, di non riaprire a settembre, di perdere la casa perché non sta più pagando l’affitto.
Regazzo racconta che, durante il lockdown, i senza dimora hanno perso i loro riferimenti con la chiusura di servizi e negozi e la scomparsa di chi, passando dove avevano scelto di mettere la loro ‘casetta’, li aiutava. Inoltre non sapevano cosa stesse accadendo ed è stato importante, e ancora lo è, informarli, anche su come tutelare la loro salute. Ricorda “quella sera davanti alla stazione Centrale che sono arrivate più di 200 persone a prendere il cibo e abbiamo capito che mancava in modo significativo. Lì c’era un signore che non mangiava da 4 giorni, molto anomalo che capiti a Milano. Abbiamo anche deciso di non dare più solo il pacco quotidiano, ma anche il pranzo del giorno dopo”.