AGI - Era il 27 febbraio del 2019, quando, in una mattina fredda, prima ancora che arrivassero i dipendenti nel cantiere di via Butera a Gela, Rocco 'Riccardo' Greco, 57 annicon un colpo di pistola alla tempia si uccise.
Fu un gesto che i tre figli non si aspettavano. Il “peso” morale dell’interdittiva antimafia sulla Cosiam, società edile di cui lui era titolare e poi direttore tecnico, Greco non lo sopportò. E se inizialmente aveva iniziato a dare battaglia amministrativa, non ha voluto assistere al gran finale.
Un peso insostenibile
Quei documenti che hanno precluso per tre mesi alla Cosiam di proseguire negli appalti pubblici e partecipare ad altri bandi di gara adesso sono nulli. Lo hanno dichiarato i giudici del Tar del Lazio il mese scorso ed ora anche quelli di Palermo. “Non ha retto a questo enorme peso dell’interdittiva antimafia”, ha subito detto il figlio Francesco, che con la sorella Paola ed il fratello più piccolo ha subito preso le redini della società ed ha proseguito la battaglia che il padre ha iniziato ma subito dopo ha mollato.
A distanza di quasi un anno e mezzo da quel suicidio viene rimesso in discussione l’operato della Prefettura di Caltanissetta che emise l’interdittiva. Così scrivono i giudici di Palermo: per la “specificità e singolarità della vicenda deve ritenersi sussistente la colpa grave della pubblica amministrazione”, che "ha palesato un’attività istruttoria gravemente carente".
Vittima di mafia
Rocco "Riccardo" Greco era una vittima della mafia. Fu lui a a raccontare i meccanismi e i boss del pizzo sulla raccolta dei rifiuti a Gela, ma divenne imputato per concorso esterno al Tribunale di Caltanissetta. La vicenda giudiziaria penale, da cui uscì assolto, fece perdere alla Cosiam il “certificato antimafia” e la conseguente revoca degli appalti negli pubblici.
L'iscrizione nel 2015 alla 'white list' della Prefettura di Caltanissetta avrebbe dovuto imporre, scrivono i giudici, "all’amministrazione che intendeva emettere informativa negativa un obbligo motivazionale rafforzato quantomeno in ordine alla attualità degli indizi - che però risultano inesistenti - denotando sul punto un evidente difetto di istruttoria e di motivazione”.
L'analisi del ricorso
I giudici amministrativi del Tar Palermo, per i quali il Viminale deve risarcire la Cosiam, hanno analizzato il ricorso presentato dalla ditta, che aveva ricevuto interdittiva antimafia negativa, e rilevano che "sebbene la giurisprudenza amministrativa ritiene ammissibile trarre elementi indiziari anche da sentenze di proscioglimento o di assoluzione, è altrettanto vero che da tali sentenze devono emergere valutazioni del giudice competente (cioè il giudicante e non il requirente) su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa, nelle multiformi espressioni con le quali la continua evoluzione dei metodi mafiosi si manifesta”.
La Prefettura, al contrario, emise l'interdittiva facendo "acriticamente prevalere le congetture sostenute dal pubblico ministero piuttosto che le conclusioni dell’organo giudicante che motivatamente ne hanno escluso la fondatezza”.
La Prefettura di Caltanissetta, insomma, avrebbe tenuto conto della posizione del Pm durante il processo di primo grado a Riccardo Greco, ritenuto imprenditore colluso, e non della sentenza di assoluzione, che venne poi impugnata dalla Procura Generale. Il processo non si celebrò perché Greco già si era suicidato. Rsta il risarcimento di 40 mila euro, poca cosa rispetto alla pioggia di appalti e le chance imprenditoriali perduti in tre mesi.
La Cosiam, infatti, dopo la morte di Riccardo Greco ha cambiato assetto societario ed è stata subito inserita nella white list. Ma il danno ormai era fatto ed ora, nelle sentenze scritte dai giudici amministrativi, emerge con insistenza la sordità alle sentenza dei giudici della Prefettura di Caltanissetta, che fece un grande errore di valutazione.