Sono trascorsi più di quattro mesi dall’11 marzo, il giorno in cui l’Italia entrò in lockdown: uno stop che, tra le innumerevoli conseguenze che ha portato, ha segnato anche l’improvvisa diffusione nel nostro Paese dell’abitudine di lavorare da casa. Secondo un’indagine della Cgil, pubblicata il 18 maggio, gli italiani che hanno lavorato dalla propria abitazione durante le settimane di lockdown sono stati circa 8 milioni. Prima della pandemia di Covid-19, erano appena mezzo milione.
A diciotto settimane di distanza dal decreto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che costrinse gli italiani in casa, Lenovo ha pubblicato uno studio, intitolato “Technology and the Evolving World of Work”, nel quale traccia un bilancio sugli esiti del lockdown in ambito lavorativo e tecnologico.
La produzione è aumentata o calata?
L’indagine, con cui Lenovo intende comprendere le necessità dei dipendenti di fronte a un cambiamento repentino delle loro modalità di lavoro, si basa sulle interviste a 20.262 persone, realizzate tra l’8 e il 14 maggio 2020. A loro è stato chiesto di rispondere ad alcune domande relative alla loro esperienza con la tecnologia sul luogo di lavoro e all’impatto di Covid-19 sulle loro preferenze, connettività ed equilibrio tra vita personale e lavorativa.
Lo studio non riguarda soltanto l’Italia, dove i questionari sono stati sottoposti a 2.023 lavoratori, bensì a dieci delle principali economie del mondo: oltre al nostro Paese, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Cina, India e Giappone, Brasile e Messico.
Lavorando da casa, ha risposto la maggior parte degli interpellati (il 63%), ci si sente più connessi e produttivi rispetto all’ufficio. E anche se la metà del campione (il 52%) ammette che pensa che continuerà a lavorare da casa più di quanto facesse prima, lo smart working (o work from home) non offre soltanto vantaggi: il timore è di pagare uno scotto per quanto riguarda il proprio benessere economico, fisico ed emotivo.
Quanto hanno speso gli italiani in tecnologia?
Tra le conseguenze più immediate dello stravolgimento delle abitudini lavorative c’è stata la necessità di ammodernare l’attrezzatura usata per svolgere le proprie mansioni: a livello globale, sette intervistati su dieci hanno dichiarato di aver acquistato nuovi dispositivi tecnologici per lavorare da remoto; più della metà di loro ha spiegato di aver dovuto mettere mano al portafogli per migliorare la propria dotazione, tra computer, tablet, o semplicemente qualche accessorio.
Proprio su questo punto, gli intervistati in Italia hanno fatto sapere di aver sborsato mediamente 305 euro per aggiornare o migliorare la tecnologia necessaria per lavorare da casa durante la pandemia, un dato che colloca i nostri connazionali al terzo posto in questa speciale graduatoria. Soltanto in Germania (336 euro) e Stati Uniti (307 euro) si è speso di più. La media globale, scrive Lenovo nel suo report, si attesta a 238 euro.
Quali conseguenze sulla salute?
Lo accennavamo prima: lavorare da casa può avere conseguenze anche sulla salute: il 71% degli intervistati, infatti, lamenta l’insorgere di nuove problematiche o il peggioramento di alcune condizioni, tra cui mal di testa, dolori alla schiena oppure al collo, e anche la difficoltà a dormire. Tra le possibili cause, la mancanza di spazi adeguati a lavorare.
Le conseguenze problematiche, tuttavia, possono essere anche altre: in primo luogo la diminuzione dei contatti personali con i colleghi, che può avere anche effetti collaterali sulla capacità di sviluppare le relazioni sul posto di lavoro, un aspetto fondamentale per rendere al meglio. Ma naturalmente può palesarsi anche la difficoltà nel separare la vita lavorativa dalla vita domestica, o nel concentrarsi durante le ore di lavoro a causa delle tante distrazioni presenti in casa.
La risposta? Investire in formazione sulla tecnologia
Le sfide che attendono il mondo del lavoro nel post Covid-19 sono tante, e il lavoro da casa (o agile, oppure ancora smart, a seconda di come si configura) apre una serie di questioni non di poco conto. Tra queste c’è sicuramente l’aspetto di sicurezza informatica e il rischio di violazioni di dati, che dall’indagine di Lenovo emerge come preoccupazione principale dei lavoratori di tutte le età. Ma c’è anche un altro aspetto: in molti, scrive l’azienda cinese, chiedono ai propri datori di lavoro di investire di più in formazione sulla tecnologia per agevolare il lavoro da casa nel prossimo futuro.