AGI - Delusione, amarezza. "Profondo dolore", dice Bergoglio. Due parole pesanti come pietre, rivolte alla Turchia che ha voluto guardare al passato lontano calpestando il presente e compromettendo il futuro. Il 30 novembre 2014 Papa Francesco aveva scritto sul libro d'oro delle visite, dopo aver visitato quel museo dalla cui abside una Madonna dall'aspetto maestoso guarda un Cristo pantocratore che domina dalla cupola, che "ogni sapienza viene dal Signore".
Aveva scelto di lasciar traccia in greco, nei documenti ufficiali di Santa Sofia: nella lingua degli antichi costruttori della basilica, a significare la particolare affezione delle chiese per quel monumento, laico fino a 48 ore fa, che segna l'unione - avrebbero detto i dotti del Concilio di Firenze - tra Oriente e Occidente. Invece oggi il Pontefice rende pubblica tutta la sua delusione. Anzi, il dolore profondo.
Un modo che più esplicito non può essere, per far capire quanto il gesto fortemente voluto da Recep Tayyp Erdogan segni una nuova cesura tra due mondi e due continenti: un salto all'indietro la cui portata va ben oltre la destinazione d'uso di quel luogo sacro.
Per giorni e giorni il Vaticano ha taciuto, quando si è saputo che il conto alla rovescia per la restituzione al culto islamico di Santa Sofia a Istanbul era entrato nell'ultimo giro d'orologio.
Silenzio: di solito in questi casi è la manifestazione più concreta del muoversi felpato delle diplomazie, delle prese di posizione sussurrate, degli appelli discreti ma non per questo meno forti e accorati. Il gesto annunciato dal governo turco non è mai stato sottovalutato nel suo significato simbolico: Ankara rompe i ponti. Con il l'Occidente, l'Europa, le confessioni religiose che pur sono presenti sul suo territorio. Minoranze molto piccole, ma pesanti e a loro modo esigenti. I simboli spesso sono quelli che segnano le pagine della grande storia, e Santa Sofia è uno di questi.
Più profonda la disillusione, più profondo il silenzio immediato. Ancora ieri l'Osservatore Romano riportava la notizia in prima pagina, ma senza commenti, Lasciava che parlassero gli altri: le chiese ortodosse, la comunità internazionale, persino l'Unesco (Santa Sofia è patrimonio dell'Umanità). Come dire: una scelta che rende più solo chi l'ha compiuta. I fatti parlano da soli.
Tra le chiese cristiane in particolare spiccavano due voci: Kirill di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli. Le due guide più importanti dell'ortodossia, divise di recente dalla decisione della chiesa ucraina di rendersi autonoma rispetto alla russa ma di nuovo unite di fronte a questo editto di Erdogan.
Santa Sofia, ha ricordato il primo, "è uno dei più grandi monumenti della cultura cristiana, particolarmente caro alla Chiesa russa", e "qualsiasi tentativo di umiliare o di calpestare l'eredità spirituale millenaria della Chiesa di Costantinopoli è accolta dal popolo russo, allora come oggi, con indignazione e amarezza".
Quanto accaduto, ha avvertito il secondo, "spingerà milioni di cristiani in tutto il mondo contro l'islam", "sarà causa di rottura tra questi due mondi".
Bergoglio oggi ha usato toni meno ultimativi. Si è affacciato dal palazzo apostolico per l'Angelus, si è soffermato sul Vangelo del giorno per ricordare che le "ideologie" distraggono dalla fede, ha ricordato la giornata internazionale del mare che proprio oggi viene celebrata.
A questo punto, parlando a braccio, ha aggiunto poche parole, una frase o poco più. Questa: "L'idea del mare mi porta un pò lontano. Il pensiero va a Istanbul, penso a Santa Sofia. Sono molto addolorato".
Non si tratta di artificio retorico, il passaggio tra mare e Santa Sofia. Dietro c'è una riflessione più ampia, che abbraccia più di un aspetto del pontificato di Francesco. Il mare è soprattutto il Mediterraneo, quello da cui passano i migranti e quello a cui si affacciano le civiltà e le grandi religioni. La decisione su Santa Sofia, in questa luce, appare ancora più divisiva, ancora più dolorosa.