AGI - C'è chi ha vissuto il lockdown come un incubo, e la riapertura come una evasione da vivere in modo aggressivo e deflagrante, e chi si era adattato alla nuova condizione vissuta come ovattata e priva di rischi, e continua a rintanarsi nel suo rifugio. Due condizioni opposte ma altrettanto patologiche, che colpiscono almeno 3 milioni di italiani in queste prime settimane di Fase 2.
Lo sottolinea all'AGI Massimo di Giannantonio, presidente della Società italiana di Psichiatria (Sip), che fa un quadro degli estremi più problematici rispetto a "una massa di milioni di persone che hanno compreso la situazione, si sono adattati al lockdown e ora riprendono tranquillamente la loro vita normale".
Le due categorie
A fronte di questi, però, "quello che abbiamo osservato nella nostra attività clinica è che ci sono due grandi categorie di profilo psicologico. Abbastanza equivalenti numericamente. La prima è di coloro che hanno vissuto il lockdown come degli arresti domiciliari senza colpa penale, hanno subito la convivenza in ambienti stretti con dinamiche famigliari vissute come frustranti, subendo l'obbligo di assolvere ai loro doveri di genitore, o di figlio. Queste persone hanno vissuto la fine del lockdown come un tana libera tutti, per tornare a vivere la loro visione individualistica e narcisistica della vita. Escono però con una carica di frustrazione e di revanchismo che sono i presupposti per l'esagerazione, l'inosservanza delle regole, il disprezzo per il rischio".
All'altro estremo ci sono "quelli che hanno costruito la loro vita su una base fragile, vulnerabile, in cui l'ambiente esterno viene vissuto come frustrante, aggressivo, competitivo. Manca l'autostima, e tutto sommato nel lockdown queste persone hanno trovato la loro 'capanna', un approdo sicuro ripulito dall'aggressività e dai fallimenti".
È adesso che per questo profilo psicologico si fa dura: "Dopo mesi di lockdown - spiega di Giannantonio - fanno molta fatica ad abbandonare il luogo sicuro. Si tende a evitare il confronto, ad allontanare la scadenza della ripresa, a usare lo smart working come una comoda scusa per ripararsi dietro uno schermo rifiutando il confronto reale".
Le difficoltà economiche
I due profili, aggiunge lo psichiatra, "potrebbero mescolarsi con le difficoltà economiche, quelle si' reali e concrete, e creare un mix tra fantasia e realtà dall'effetto altamente stressante e destabilizzante". C'è poi un'altra categoria, per la quale i problemi non nascono dalla psiche ma dal dramma vissuto sulla propria pelle: i familiari delle vittime.
"Al culmine dell'epidemia - rileva di Giannantonio - ci sono state decine di migliaia di persone che sono morte senza il conforto dell'addio, senza poter salutare i propri cari. Se si considera mediamente che ogni vittima ha almeno tre familiari, parliamo di una potenziale platea molto ampia di persone rimaste senza lutto, che dovremo ascoltare e seguire con attenzione perche' una condizione cosi' estrema rischia di diventare la premessa per il disturbo post-traumatico da stress".