La gestione italiana dell'epidemia di Covid-19 ha privilegiato i grandi ospedali, cosa che viste le croniche carenze sul fronte dell'assistenza territoriale ha lasciato "la popolazione senza protezioni adeguate". Lo scrive la Corte dei Conti nell'ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, che dedica un focus sulla sanità e in particolare proprio sulla gestione dell'emergenza. Una crisi che ha messo in luce "i rischi insiti nel ritardo con cui ci si e' mossi per rafforzare le strutture territoriali, a fronte del forte sforzo operato per il recupero di più elevati livelli di efficienza e di appropriatezza nell'utilizzo delle strutture di ricovero".
Secondo la Corte dei Conti, "se aveva sicuramente una sua giustificazione a tutela della salute dei cittadini la concentrazione delle cure ospedaliere in grandi strutture specializzate riducendo quelle minori che, per numero di casi e per disponibilità di tecnologie, non garantivano adeguati risultati di cura", di contro "la mancanza di un efficace sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate".
Un problema strutturale, dunque, che finora incideva sulle spese delle famiglie ma in tempo di coronavirus "hanno finito per rappresentare una debolezza anche dal punto di vista della difesa complessiva del sistema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciuta".
"È, infatti, sempre più evidente che una adeguata rete di assistenza sul territorio - scrive la Corte dei Conti - non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del singolo e delle persone con disabilità e cronicità, ma rappresenta l'unico strumento di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come quello che stiamo combattendo. L'insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto".
Una attenzione a questi temi, riconosce la Corte, "si è vista nell'ultima legge di bilancio con la previsione di fondi per l'acquisto di attrezzature per gli ambulatori di medicina generale", ma essa "dovrà essere comunque implementata superata la crisi, così come risorse saranno necessarie per gli investimenti diretti a riportare le strutture sanitarie ad efficienza".
Negli ultimi 8 anni sono oltre 9.000 i medici formati in Italia che sono andati a lavorare all'estero, una vera e propria "fuga dal Paese". Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia sono i mercati che più degli altri, scrive la Corte, "hanno rappresentato una soluzione alle legittime esigenze di occupazione e adeguata retribuzione quando non soddisfatte dal settore privato nazionale".
Una condizione che, "pur deponendo a favore della qualità del sistema formativo nazionale, rischia di rendere le misure assunte per l'incremento delle specializzazioni poco efficaci, se non accompagnate da un sistema di incentivi che consenta di contrastare efficacemente le distorsioni" che causano questo esodo.