Le vetrine di Milano si sono illuminate con le riaperture scattate lunedì 18 maggio, ma non in tutta la città. Il tempo a Chinatown (il quartiere con oltre 27 mila cinesi) sembra essersi fermato al mese di febbraio, quando molti ristoratori, parrucchieri e negozi di estetica, decisero di chiudere ancora prima che scattasse il lockdown.
Francesco Wu, membro del direttivo di Confcommercio Milano-Monza Brianza e rappresentante dei commercianti cinesi, ha spiegato all'AGI che a questa decisione hanno contributo diversi fattori, tra cui quello economico. E lancia un allarme. Se la situazione non dovesse "normalizzarsi velocemente" c'è il rischio di un ottobre nero con la chiusura anche del "20% delle attività".
I costi per rispettare tutte le norme anti-contagio sono molto alti, soprattutto per i ristoranti, e si va verso una estate anomala, in cui verranno a mancare molti turisti: "sarà il periodo peggiore".
"Con questi numeri è impossibile andare avanti. Se saltiamo noi - sottolinea -, saltano anche i nostri dipendenti, salta tutto". Se poi si dovesse andare oltre il 20% di chiusure, allora la situazione "diventerebbe problematica: il sistema non reggerebbe più" aggiunge Wu, ricordando che a Milano e città metropolitana ci sono ben 8 mila ditte cinesi.
Tutto questo però si vedrà dopo l'estate, in autunno. Per adesso a Chinatown si prende tempo. Almeno fino a giugno.
"Ognuno riaprirà quando crede, qualcuno per il weekend, altri tra due settimane. Non c’è nulla di concordato - dice il referente in Confcommercio Milano per l'imprenditoria straniera -. Ma credo che in zona Sarpi saremo gli ultimi a riaprire" e questo sia perché c'era una "clientela interna" e sia "perché gli asiatici sono i più prudenti".
A pesare sulla scelta di proseguire con il lockdown, dunque, ci sono cautela e prudenza, ma anche e soprattutto l'aspetto economico. Non ci sono dubbi per Wu: "riaprire in questo momento, a maggior ragione per chi ha del personale, è antieconomico. Costa di più stare aperti. Almeno ora c’è la cassa integrazione che permette alle imprese di resistere di più, anche se i soldi non sono ancora arrivati".
Inoltre, c'è da dire anche che tra decreti del governo firmati di domenica sera e ordinanze regionali a seguire, non è facile districarsi e tenere il passo. "Molti imprenditori non hanno aperto perché le norme non erano chiare - spiega -, poi c'è stata anche una retromarcia sulle persone conviventi che a ristorante devono stare a distanza di un metro, come gli altri. Così si fanno le cose all'ultimo, di corsa. Come ci sentiamo tutelati?".
Ecco perché la soluzione per alcuni, nell’ambito della ristorazione è stata, ed è, il delivery, che "è aumentato molto, anche se non potrà mai coprire tutta la fetta di mercato delle persone che vanno al ristorante". E poi certo non è la stessa cosa cenare a casa o nel proprio locale preferito. E non solo perché non tutti i piatti sono buoni consegnati a domicilio ma perché, come dice Wu "Milano è bella perché è la Milano da bere e da mangiare. Senza questo perde fascino e vitalità".