Mascherine, guanti in lattice, gel igienizzante all’ingresso e microfoni sanificati: riprende al palazzo di giustizia di Palermo, il processo di appello sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. Il processo si svolge a porte chiuse – per il rispetto delle norme anticovid – ma per favorire un maggiore ricircolo dell’aria il presidente della Corte, Angelo Pellino (giudice a latere Vittorio Anania), ha disposto l’apertura “fisica” della porta centrale dell’aula.
Davanti al collegio della II sezione della corte di assise di appello depone, in video conferenza il collaboratore di giustizia, Armando Palmeri, uomo vicino al boss di Alcamo Vincenzo Milazzo, poi ucciso nel luglio 1992. “Milazzo si incontrava con soggetti appartenenti ai servizi segreti – ha detto Palmeri rispondendo alle domande del pg Giuseppe Fici – me lo disse lui stesso: erano incontri per destabilizzare lo Stato. Si parlava anche di utilizzare un batterio per inquinare un acquedotto. Milazzo era preoccupato da questi incontri – ha proseguito Palmeri – ma non prese posizioni, era l’uomo del ni”.
Palmeri ha riferito nel 2016 alla Procura di Caltanissetta, che sta indagando sulle stragi, e poi anche in dibattimento. “Ho accompagnato Milazzo a tre incontri – ha detto Palmeri – e per sicurezza sorvegliavo l’aria a distanza con un binocolo. Li ho visti questi soggetti appartenenti ai Servizi, uno in particolare molto alto lo ricordo bene. Mi hanno mostrato degli album fotografici – ha detto – ma la sua faccia non c’era”.
Oggi in programma anche la deposizione del collaboratore di giustizia calabrese Nino Fiume ma, in accordo con le parti, sono stati acquisiti i verbali del dibattimento in corso a Reggio Calabria