Una madre, due preti, tre futuri presidenti della Repubblica. La vicenda umana di Francesca Serio apre lo spartiacque tra due Italie, quella riconosce la presenza della mafia ma le nega cittadinanza e l'altra, che ne nega l'esistenza riconoscendole, di fatto, il diritto al controllo del territorio e il potere assoluto sulla vita di uomini e donne.
Francesca Serio era la madre di Turiddu (Salvatore) Carnevale, del quale oggi si ricorda il 65mo della morte. Carnevale, bracciante e sindacalista socialista, difendeva i diritti dei contadini nelle Madonie, con una passione tale da farsi odiare dai proprietari terrieri. Era nato a Galati Mamertino, nei Nebrodi
Francesca, dopo il battesimo del bambino, lasciò il paesino alla volta di Sciara. "Arrivarono su un carretto", racconta Franco Blandi, autore di una biografia della donna ("Francesca Serio, la madre", Navarra editore). "Negli anni Venti del Novecento - continua - ci fu ondata migratoria intensa dai Nebrodi verso il palermitano, dove i feudi dei Notarbartolo avevano bisogno di manodopera tutto l'anno e stentavano a trovarla.
È a Sciara che Carnevale diventò "l'angelo senz'ali" messo in versi da Ignazio Buttitta e raccontato dai cantastorie siciliani ("Ancilu era e non avia ali, non era Santu e miraculi facia"), e in grado di fare miracoli nel deserto di diritti in cui si muovevano i braccianti. Uno di questi miracoli lo aveva compiuto tre giorni prima di essere assassinato sulla strada che lo conduceva da casa alla cava dove lavorava: era riuscito ad ottenere le paghe arretrate per i suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di 8 ore.
Nel 1951 aveva fondato la sezione del partito socialista di Sciara e aveva organizzato la Camera del Lavoro. In seguito all'occupazione delle terre della principessa Notarbartolo era stato arrestato. Uscito dal carcere si trasferi' per due anni in Toscana, dove scopri' una forte e radicata cultura dei diritti dei lavoratori, cercando poi di trasferire questa esperienza, una volta tornato in Sicilia, nella lotta contadina.
Mentre era fuori, un prete aveva issato la sua bandiera. "Rientrato Salvatore Carnevale, padre Nuccio - racconta Blandi all'AGI - cominciò a partecipare alle riunioni per la riforma agraria, teneva omelie appassionate per i diritti dei contadini. Una mattina Salvatore si accorse della confusione dietro la canonica, e gli dissero che padre Nuccio nella notte era morto. Indagando, Salvatore e i suoi compagni scoprirono che il prete era stato messo alle strette da un gruppo di banditi che lo avevano minacciato in modo pesante, tanto pesante da fargli venire un infarto, a lui cardiopatico".
Francesca vedeva il figlio crescere, e vedeva crescere in sè la paura che potessero ucciderlo. "Anche il sindacato non comprese subito il pericolo a cui Salvatore si era esposto, e fu grande il senso di colpa" che spinse dirigenti come Giuseppe Di Vittorio a ricordarlo in modo solenne. La lupara uccise Turiddu Carnevale il 16 maggio del 1955.
"Quella sera giunsero a Sciara - spiega Blandi - due futuri presidenti della Repubblica: Giorgio Napolitano e Sandro Pertini, allora impegnati in Sicilia nella campagna elettorale. Con quest'ultimo, in particolare, Francesca Serio strinse una vera e propria amicizia. "Entrando in quella casa, Pertini rimase colpito dalla grandissima miseria e dalla altrettanto grande dignità di quella donna, a cui il figlio aveva letto articoli dell'Avanti. Pertini entrò in quella casa e, si può dire metaforicamente, non ne uscì più. Nel corso degli anni si videro spesso".
Il dirigente socialista tenne un discorso indimenticabile in una piazza gremita a Sciara, in cui parlò a "coloro che stavano dietro le finestre" additandoli come i responsabili della morte del sindacalista. Fu Pertini ad accompagnarla negli uffici giudiziari di Palermo, dove la donna presentò la denuncia di un omicidio mafioso, indicando nomi e cognomi. "Era la prima volta che accadeva", nella storia della mafia.
Furono arrestati quattro uomini, uno di questi era il soprastante della principessa Notarbartolo. Condannati all'ergastolo, la sentenza fu ribaltata in appello e in Cassazione e gli imputati assolti per insufficienza di prove. Nel collegio di difesa c'era un altro futuro presidente, Giovani Leone, che "tacque quando il procuratore in Cassazione affermò che la mafia era un argomento da conferenzieri".
Cosa Nostra, intanto, prendeva forma, saldando una formidabile rete di alleanze. "Dietro l'omicidio di Carnevale - conclude Blandi - si stagliava la figura di Peppino Panzeca, di Caccamo, ritenuto il primo capo di quella che sarebbe diventata la commissione di Cosa Nostra". Suo fratello era un altro prete, monsignor Teotista Panzeca.
Suscitò polemiche nel 2015 una interrogazione posta dal senatore Beppe Lumia riguardo a un'altra circostanza: in essa si sottolineava che monsignor Panzeca era stato definito "mafioso in una informativa della legione Carabinieri di Palermo".