Lottare per il proprio marito, perché viva. E navigare all'improvviso in un mare di umanità. Questa storia parla di una lotta e di una solidarietà eccezionale. Jesus Jaime Mba Obono, l'informatico 49enne originario della Guinea Equatoriale, cittadino italiano, è arrivato a Palermo grazie a un velivolo dell'Aeronautica militare. Un volo in alto biocontenimento, organizzato, su richiesta del ministero degli Affari esteri, dal ministero della Difesa. Dopo avere contratto il coronavirus in quel Paese, adesso è in condizioni critiche e portarlo in Italia era l'unica possibilità per salvarlo.
Una macchina sorprendente che si è messa in moto spinta da una grande ondata di solidarietà. Ma soprattutto dalla forza e dall'ostinazione della moglie, Chiara Beninati, infermiera di 45 anni che non si è mai arresa. "I rapporti tra moglie e marito, si sa, hanno alti e bassi, come tutte le storie d'amore - dice all'AGI - ma ho sentito una carica forte dentro. Mi sono detta questo è mio marito e devo salvarlo, è il mio compito. E poi confido nella sua forza".
Quello che è successo "è stato un miracolo, come se qualcosa di soprannaturale ci avesse sorretto, insieme a una solidarietà incredibile". Una mobilitazione che ha permesso di raccogliere in pochi giorni i 104 mila euro necessari per organizzare il volo civile per riportare Jaime in Sicilia e che poi non sono più serviti perché nel frattempo si è mosso pure lo Stato. Un movimento frutto anche dell'impegno della coppia per i più deboli, per le comunità d'Africa, di un vasto tessuto di relazioni e di aiuto costruito nel tempo.
"Si è manifestato un forte senso di umanità, condivisione del dolore - afferma Chiara - che non è scontato e che ha attraversato gente comune, ma anche le istituzioni che mi chiamavano per tranquillizzarmi, per dirmi che tutto sarebbe andato bene". Ma la battaglia non è finita. Quello che Chiara doveva fare lo ha fatto. Ora tocca ai medici dell'Ospedale Cervello.
Jaime è intubato, in coma. Ha una grave insufficienza renale e respiratoria: "Se non fosse tornato in Italia, lo avremmo perso". Jaime e Chiara si sono sposati 17 anni fa: si sono conosciuti sull'areo Madrid-Bruxelles: lei doveva tornare a Roma dopo il matrimonio di un'amica; lui che risiedeva nella capitale spagnola si era licenziato dal suo lavoro di informatico e aveva deciso di tornare nel suo Paese perché si sentiva solo. Invece, si sono ritrovati a bordo, l'uno accanto all'altro e si sono voluti subito bene.
Poco dopo si sono sposati. Hanno vissuto per 10 anni in Guinea Equatoriale e sette anni fa sono tornati a Palermo con due nipoti, due ragazze oggi maggiorenni, una va all'università, l'altra allo Scientifico. Cinque anni e mezzo fa è nato Riccardo. "I miei genitori si sono subito innamorati di lui - racconta Chiara - lo hanno accolto come un figlio e Jaime li chiama mami e papi". Mai nessun problema per il colore della pelle in città: "Ha un sorriso di cui ci si innamora subito", continua Chiara, "vuole bene a tutti e tutti gli vogliono bene. Ogni volta che parte torna con un foglio pieno di nomi e numeri di telefono di nuovi amici".
Poi lancia lo sguardo ancora verso l'ospedale: "La prima parte della missione è compiuta, tutto quello che dovevo fare per lui l'ho fatto, perché era quello che dovevo fare, era quello che merita. Ora tocca ai medici, alla Madonna - e questo è il suo mese - a Dio... ha mosso così tanto per portarlo fino a qui che vorrà completare certamente quest'opera... E sentiamo davvero la spinta delle tante persone che ci sono accanto. Jaime alla fine si sveglierà frastornato: si è addormentato in Guinea e si trova ora a Palermo. Ho detto ai medici di parlargli, anche se è in coma, di dirgli che siamo in tanti a fare il tifo per lui, che non è solo. Io credo che questo l'avverta e lo aiuti a tornare tra noi, come prima". Forza Jaime, torna ancora.