È scettico Giovanni Di Perri, virologo del reparto malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, membro della task force regionale: “Il rischio di dover richiudere tutto dopo due settimane, purtroppo, esiste eccome. Almeno qui in Piemonte” dichiara in una intervista a Il Fatto Quotidiano. E lo dice non per allarmismo ma per realismo, giacché i numeri del Piemonte, infatti, continuano ad essere preoccupanti: l’aumento dei casi positivi in Italia, nei giorni 23-25 aprile, si è attestato su un -0,9%, mentre il Piemonte registra ancora un +2,3% e i decessi diminuiscono percentualmente la metà di quanto non si riducano nella vicina Lombardia.
Cosi Di Pierri aggiunge che - stante così la situazione – “allo stato attuale, il rischio di dover ricominciare da capo con il lockdown dopo due settimane, ossia il tempo medio di incubazione del virus, è forte”. Poi il sanitario sottolinea: “Ripeto, però, allo stato attuale. Che non è quello del 4 maggio. Dieci giorni non sono pochi. E saranno dieci giorni decisivi”, puntualizza con allarme, perché “non sappiamo ancora quali dati avremo il 4 maggio, non è impossibile che ci sarà un numero di casi tale da poter ritenere possibile l’inizio della fase 2, ma è troppo presto per dirlo”.
Il calo dei ricoveri in terapia intensiva secondo il virologo Di Pierri “c’è, ma per avere un’idea più realistica dello stato del contagio è necessario che i dati si liberino dal peso” – al momento “elevatissimo” - della voce Rsa”. Lui si augura che a quella data la situazione nelle residenze sanitarie “sia non dico totalmente sotto controllo, ma quasi. L’importante è non limitarsi a una gestione passiva del contagio” precisa, e “passiva” significa che “per troppo tempo l’indicazione ministeriale è stata quella di fare i tamponi solo ai sintomatici. Ed è stato un errore, come dimostra l’esempio virtuoso del Veneto”, chiosa.