"C'è una piccola percentuale di pazienti gravi che residuano dei segni di fibrosi polmonare anche al momento delle dimissioni, non sappiamo se nel tempo si riassorbiranno o no". Lo dice all'AGI Luca Richeldi, pneumologo al Policlinico Gemelli e membro del Comitato tecnico scientifico.
"Da noi abbiamo solo evidenze aneddotiche - spiega - perchè il tempo è poco, vista la durata media del ricovero, per avere un congruo numero di pazienti usciti dalla terapia intensiva e guariti, ma in Cina hanno già fatto studi in merito, scoprendo che un terzo dei ricoverati in terapia intensiva con polmonite ha un residuo di insufficienza respiratoria alle dimissioni".
In genere, aggiunge Richeldi, "dopo due o tre settimane intubati alcuni danni polmonari si possono creare comunque, non sappiamo ancora con precisione le cause e nemmeno l'evoluzione. Di certo, come ha detto oggi l'assessore Gallera, si sta creando una coorte di pazienti che potrebbero avere problemi respiratori dopo la malattia, che andranno seguiti e valutati sul territorio, come peraltro succede spesso anche per le 'normali' polmoniti che possono lasciare tracce".
Quanto alle terapie attualmente in uso, lo pneumologo ricorda che "non ci sono cure approvate contro Covid-19. Quindi si apre il campo ad approcci vari, non c'è lo standard. Si usano antivirali, idrossiclorochina, soprattutto all'inizio questi venivano dati in modo ampio, creando un certo carico sui pazienti. Poi gli antinfiammatori, cruciali per tutte le polmoniti, e ora l'eparina, che agisce contro il tromboembolismo. Anche qui, siamo nell'ambito dei trattamenti 'classici' per una polmonite grave. L'approccio è empirico. Sono importanti anche le terapie di supporto, ossigenazione in primis, poi ventilazione meccanica, efficaci per dare il tempo all'organismo di reagire".
Non è per il miglior approccio terapeutico, insomma, se i reparti di terapia intensiva stanno ogni giorno registrando un calo della pressione: "Da quello che vedo qui al Gemelli - racconta Richeldi - arrivano meno ambulanze in pronto soccorso, la percezione è che il calo sia dovuto proprio al fatto che meno persone hanno bisogno di ricovero, e quindi a ricaduta meno vanno in terapia intensiva. Certo dopo due mesi sappiamo meglio come gestire il paziente, ma non credo al punto di incidere così significativamente sui dati".