In quella che l’assessore lombardo Giulio Gallera ha definito “la prima giornata positiva di un mese terribile”, Mattia, il giovane uomo da cui tutto era iniziato, lascia il Policlinico di Pavia e racconta come, a un certo punto dello strenuo duello col virus, “ho ricominciato a fare la cosa più bella: respirare”.
“E’ difficile dopo questa esperienza fare un racconto - le prime parole del ‘paziente uno’ trasmesse in una diretta Facebook della Regione Lombardia - Ricordo il ricovero nell'ospedale di Codogno dove mi hanno curato, poi mi hanno detto che per 18 giorni sono stato in terapia intensiva. Quindi sono stato trasferito nel reparto malattie infettive, dove ho avuto di nuovo contatto con il mondo reale e ho ricominciato a fare la cosa più semplice e bella: respirare”.
Speranza e monito: “Da questa malattia si può guarire, ma bisogna stare a casa perché la prevenzione è fondamentale; bisogna stare lontani anche dagli amici. Sono stato fortunato: sono stato curato, ora potrebbe non essere più possibile”.
In questo mese trascorso in ospedale, per molti giorni in condizioni molto critiche, Mattia, 39 anni, manager di una multinazionale, ha tenuto duro “col pensiero di diventare padre” perché la moglie, che ha superato velocemente la malattia, partorirà a giorni la loro prima figlia. Ma è stato anche il tempo del lutto perché il coronavirus ha ucciso il padre, mentre la mamma ce l’ha fatta e potrà abbracciare la nipotina.
Mattia si era presentato all’ospedale di Codogno una prima volta il 18 febbraio ma aveva deciso di tornare a casa, nonostante i medici lo volessero trattenere. A tradirlo la fiducia nel suo corpo di atleta, che aveva corso due mezze maratone nel giro di pochi giorni, circostanza che, si scopre poi, potrebbe averne invece fiaccato il sistema immunitario, esponendolo alla violenza del virus.
La mattina del 20 febbraio era tornato nel piccolo ospedale, col respiro mozzato e una polmonite resistente a ogni cura. E’ stato l’intuito dell’anestesista Annalisa Malara (“Ho pensato l’impossibile”), dopo che la moglie del paziente gli ha riferito di una cena con un amico tornato dalla Cina, a suggerire il tampone che ha rivelato la sua positività, l’inizio della tempesta italiana.
Ricoverato al reparto infettivi del policlinico San Matteo di Pavia, lunedì 9 marzo, per 18 giorni le sue condizioni sono state definite sempre “stabili”. Un tempo di attesa in cui i medici, guidati dal primario Raffaele Bruno, le hanno provate tutte, riuscendo infine a trovare il giusto mix di antivirali e antinfiammatori.
“Dove sono, a Lodi?”, le prime parole che hanno segnato il passaggio alla terapia sub-intensiva a quella intensiva dove ha ripreso a respirare in autonomia, senza tubo. Poi, è arrivata anche la gioia della moglie, consegnata a una chat degli amici del gruppo podisti: “Ciao ragazzi con il cuore che mi scoppia volevo dirvi che Mattia migliora sempre e che le sue condizioni sono molto buone. Io e la piccola in pancia stiamo bene. Non so come ringraziarvi per l'affetto e la vicinanza che ci avete dimostrato, sono stati un aiuto immenso, davvero”.