"Ci abbiamo creduto sino alla fine. Il personale della Guardia Costiera di Lampedusa e il Nucleo sommozzatori non hanno mollato un solo giorno, nonostante il carico di lavoro ordinario che continua a gravare su Lampedusa", ha sottolineato il procuratore aggiunto di Agrigento, Salvatore Vella, che aggiunge: "I nostri militari hanno messo in campo tutta la loro professionalità e anche il loro cuore".
Il naufragio risale alla notte tra il 6 e il 7 ottobre. Una strage di donne e bambini a una manciata di miglia da Lampedusa, si disse. Tredici le salme strappate al mare nelle ore successive: tutte donne, alcune incinte, anche una ragazzina di 12 anni. Nei giorni scorsi sono stati seppelliti nei cimiteri della provincia di Agrigento. Una delle superstiti ha raccontato di avere perso la sorella più grande e la figlia di quest'ultima, di appena 8 mesi. A bordo, hanno raccontato i superstiti, erano in oltre 50. Di questi sono stati 22 i migranti salvati nelle fasi concitate dei soccorsi da parte di Guardia costiera e Guardia di finanza, diventate tragiche, secondo le ricostruzioni, quando nella notte intorno alle 3, i migranti, in forte agitazione, complici anche le difficili condizioni meteo, si sono affollati su una parte del natante provocandone il ribaltamento a 6 miglia da terra.
La procura di Agrigento ha aperto un'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. "L'imbarcazione non era in condizioni di affrontare la traversata", aveva spiegato il procuratore aggiunto Vella, "nessuno a bordo sembra avesse strumenti di soccorso individuali e in questi casi un salvagente ti salva la vita". Insomma, in questa situazione sono stati mandati a morte pressoché certa dai trafficanti di esseri umani. "Sono stati molto bravi gli equipaggi che sono intervenuti", aveva poi sottolineato: "Se solo le persone a bordo avessero avuto un giubbotto o soltanto un salvagente, sarebbero oggi vive".