La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto il ricorso dell'Italia sull'ergastolo ostativo e ha ordinato che venga riformata la legge che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. L'Italia aveva fatto ricorso contro una sentenza di condanna del 13 giugno che ora diventa definitiva.
"Una notizia che intristisce tanto, intristisce tanto tutti coloro che credono che le mafie debbano essere combattute con la massima determinazione e la massima fermezza". Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia, commenta così la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo sul cosiddetto 'ergastolo ostativo".
L'ergastolo ostativo, 'bocciato' oggi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, è regolato dall'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario, modificato dalla legge 356 del '92. Prevede che le persone condannate per alcuni reati di particolare gravità e allarme sociale come mafia o terrorismo non possano accedere ai cosiddetti "benefici penitenziari" né alle misure alternative alla detenzione: niente liberazione condizionale, niente lavoro all'esterno, niente permessi-premio e semilibertà.
Nei fatti, la pena massima che può essere erogata nel nostro Paese, il carcere per sempre, con una unica eccezione, regolata anch'essa dall'ordinamento penitenziario (articolo 58 ter): la collaborazione con la giustizia da parte di chi, "anche dopo la condanna", si adopera "per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori" ovvero aiuta "concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati".
L'ergastolo ostativo, introdotto dopo le stragi di Capaci e di via d'Amelio e in un momento storico nel quale si ritenne necessario rafforzare ulteriormente la lotta alla criminalità organizzata, lo scorso 13 giugno era stato censurato per la prima volta - a maggioranza - dalla Corte europea di Strasburgo per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che vieta "trattamenti inumani e degradanti": il caso in esame riguardava Marcello Viola, condannato all'ergastolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona, omicidio e possesso illegale di armi.
Uscito dal 41-bis, Viola aveva chiesto un permesso premio e la possibilità di accedere alla liberazione condizionale ma le sue domande erano sempre state rifiutate, proprio sulla base dell'articolo 4-bis non avendo mai collaborato. Contro la sentenza della Corte europea, il governo italiano ha presentato ricorso alla Grande Chambre, sottolineando come la mafia rappresenti la principale minaccia alla sicurezza italiana, europea e internazionale e ricordando che l'ergastolo ostativo e' stato piu' volte dichiarato conforme ai principi costituzionali dalla nostra Consulta. Per quest'ultima, infatti, "subordinando l'ammissione alla liberazione condizionale alla collaborazione con la giustizia, che e' rimessa alla scelta del condannato, (la disciplina) non preclude in modo assoluto e definitivo l'accesso al beneficio, e non si pone, quindi, in contrasto con il principio rieducativo enunciato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione".