“Io sono per l’eutanasia perché sono per la vita”. Lo scrive il Premio Strega Antonio Scurati, autore di M, il figlio del secolo, nel suo articolo di esordio come collaboratore del Corriere della Sera. Lo scrittore afferma anche di essere “per l’eutanasia” nella sua forma “legale, libera, civile” e lo è, spiega, “con ragione e per compassione”. Dunque “ne peroro la causa in qualità di individuo" aggiunge "di cittadino e anche di scrittore” in quanto “ogni vita è degna di essere raccontata (non solo le vite straordinarie di santi o eroi)”, ma perché “questa dignitosa vita qualunque deve poter esser raccontata in qualsiasi modo (non solo con i versi sublimi dei poemi antichi ma anche con la lingua familiare della prosa, prossima alla lingua quotidiana)”.
L’autore di M. scrive di rigettare “con forza e, permettetemelo, con sdegno” tutti gli slogan dei militanti contrari a ogni forma di “aiuto a morire” che si proclamano “pro-life”, difensori della vita e depositari del suo significato ultimo. “No. Non è così”, aggiunge, “chiunque si opponga alla facoltà dell’individuo di decidere della propria vita, lo fa in nome di un principio cui quella vita viene subordinata, togliendole così pienezza, libertà, sovranità e dignità”.
Scurarti si dice favorevole all’eutanasia in toto, “e non solo per quelle situazioni limite di cui si occupano i media (e in questi giorni la corte costituzionale con la storica sentenza su Marco Cappato)” in quanto “le corsie dei nostri ospedali, lontane dai riflettori, straripano di casi comuni, noti a noi tutti, in cui il moribondo è ostinatamente sottoposto a indicibili sofferenze fisiche e psicologiche per prolungare inutilmente di qualche mese la sua esistenza fino al punto di smarrire nella sua conclusione tutte le ragioni che ce l’avevano fatta amare, finanche al punto di smarrire i tratti di quel volto che per noi aveva incarnato il supremo amore”.
E conclude: “Io sono per l’eutanasia. Io spero nel giorno in cui un figlio e un padre, due amici, due fratelli, ancora entrambi pienamente se stessi, possano, fianco a fianco, dopo aver bevuto per l’ultima volta insieme il caffè mattutino, prepararsi per l’ultimo viaggio, il viaggio per cui non serve bagaglio”. E perché, aggiunge, “tenere la mano al morente, finché è ancora se stesso, è la forma più alta di pietà di cui siamo capaci”. Dopo aver affermato, anche, che “noi europei d’Occidente abbiamo imparato ad amare e a rispettare la singola vita non in quanto ‘sacra’ — concessa da un Dio — e non in quanto sussunta a una laica entità superiore—Stato, Popolo o Nazione—ma in quanto libera, assoluta, sovrana su se stessa. L’individualismo occidentale che ne discende è, per questi motivi, forse la forma più alta di amore e di rispetto della vita che l’umanità abbia mai sperimentato”.