Nei Paesi dell’est c’è un esercito di orfani bianchi. Sono i bimbi separati dalle loro mamme, venute in Italia per lavorare come colf o badanti. Bambini che vengono affidati alle cure dei papà o dei nonni (nel migliore dei casi) ma anche di vicini o lasciati negli orfanotrofi, che non reggono il peso della separazione, smarriscono la via e sempre più spesso arrivano al suicidio. L’Unicef ne conta almeno 350 mila in Romania e 100 mila in Moldavia.
Da quest’altra parte del confine, invece, le donne ucraine, moldave e romene, spesso madri di quei bimbi ma non solo, lavorano incessantemente, senza un giorno di riposo pur di inviare rimesse a casa. Sopportano turni massacranti, trattamenti anche disumani, mangiano pasti insufficienti. Così per settimane, mesi, anni, fino al crollo. Al burn out. Alla “Sindrome Italia”: una sorta di depressione che colpisce queste donne durante la loro permanenza in Italia, ma soprattutto al loro ritorno a casa. In quelle famiglie che ormai le considerano estranee, in quei paesi poverissimi in cui vengono additate come ‘ricche’ non senza un velo di rimprovero, da quei figli con i quali il legame si è spezzato in modo irreparabile. Hanno vissuto spesso in case borghesi, con regolare stipendio e una paga decente, ma per molte di loro alla fine il prezzo pagato sarà altissimo.
Sono i drammi sociali legati a un mestiere sempre più prezioso in Italia dove si contano poco meno di 900 mila lavoratori domestici. Di questi il 78% è straniero, riporta l’associazione Colf Domina nel rapporto “L’impatto del lavoro domestico nei Paesi d’origine”. Un quinto del totale viene da paesi Ue (soprattutto Romania), mentre quasi 6 su 10 sono extra-comunitari. Ad essi vanno aggiunti i lavoratori non in regola, raggiungendo quota 2 milioni.
Dal burnout alla Sindrome Italia
“Il lavoro di assistente familiare - spiega Maria Grazia Vergari, psicoterapeuta e docente presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione "Auxilium" di Roma - si presenta oggi tra i più logoranti e impegnativi. Se pensiamo al lavoro di cura soprattutto dell’anziano, l’assistente familiare rischia di essere la “seconda vittima della malattia”, proprio perché il suo coinvolgimento nelle cure è tale da sottoporlo ad un livello di stress eccessivo”. A ciò si aggiunge - non sempre - un clima di convivenza difficile. Sotto stress, continua Vergari, queste persone “sviluppano sintomi somatici: stanchezza, frequenti mal di testa e disturbi gastro intestinali, respiro corto e fenomeni psicosomatici (ulcere, mal di schiena, tachicardia, nausea), diminuzione delle difese immunitarie. Sonno disturbato da pensieri negativi ed incubi e aumento della propensione agli incidenti. Ai sintomi somatici si aggiungono i sintomi psicologici: sentimenti come sensi di colpa verso l’anziano, o verso la propria famiglia che si è abbandonato, sentimenti di fallimento, risentimento e cinismo nei confronti dell’assistito, aggressività, sospetto, paranoia, alterazione del tono dell’umore. Via via quindi si instaurano sentimenti depressivi, resistenza nei confronti del lavoro di cura, scarso contatto con i propri bisogni. A volte tale situazione complessa può sfociare nell’abuso di farmaci o alcool o anche nella dipendenza da gioco d’azzardo”.
Questi sintomi sono spesso accentuati dalla “lontananza dei familiari e dalla preoccupazione per i figli, il marito e a volte anche i propri genitori lontani e ammalati. A ciò si aggiunge la mancanza di una rete sociale di sostegno (amici, parenti..) che possano “nutrire” la persona completamente annullata nel lavoro di cura. Spesso dunque molte assistenti familiari soprattutto dell’est Europa ritornano a casa. E proprio negli ultimi anni si è potuto assistere ad fenomeno psico sociale che colpisce molte delle assistenti familiari tornate dall’Italia: la sindrome Italia.
“Gli stati ansiogeni e depressivi presentati da queste donne - spiega ancora la psicoterapeuta - appaiono legati a una profonda frattura dell’identità, accompagnata da un affievolimento del senso della maternità percepito in modo colpevole e vergognoso. Nella clinica di Socola in Romania il disturbo è stato trattato. Nei casi più lievi si sono registrati stati ansiogeni, disturbi dell’identità, disturbi alimentari e del sonno, disturbi somatoformi e dissociativi. Nei casi più seri, le pazienti presentano comportamenti psicotici, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi paranoidi e schizoidi e depressioni; queste, nelle forme più gravi, possono sfociare nel suicidio”.
Un esercito di bimbi soli
Ma il prezzo più alto lo pagano i bimbi, senza affetto, speranza e futuro. Telefonate, pacchi, soldi non riescono a riempire il vuoto affettivo. I bambini vengono accuditi dal genitore rimasto o da parenti, altre volte dai nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. “La mancanza di cura e supervisione da parte dei genitori - commenta Vergari - spesso pregiudica lo stato di salute del minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l'apprendimento scolastico e può determinare soprattutto tra gli adolescenti la frequentazione di cattive compagnie. Dal punto di vista psicologico le conseguenze possono andare da una disposizione alla depressione fino ad arrivare nei casi più estremi al suicidio. Anche per i bambini che seguono i genitori nel Paese di accoglienza il processo di adattamento è lungo e non sempre facile”.
Quanti e chi sono gli aiuti domestici in Italia
Cosa fare? Dal punto di formale, le lavoratrice non dovrebbero mai preferire di essere pagate in nero, così facendo si espongono a vari rischi e conseguenze: la mancanza della copertura sanitaria, del versamento dei contributi previdenziali, di tutele e diritti e le sanzioni previste dalla legge. Per il resto, spiega l’avvocato Massimo De Luca di Colf Domina, nessuna legge può sostituire il buon senso, facilitando ad esempio la comunicazione transnazionale con i familiari rimasti a casa, attraverso accesso facilitato alle tecnologie (Skype, WhatsApp, ecc)