Un dispositivo "non letale", che aiuterà le forze dell'ordine a fare meglio il loro lavoro; un'arma rischiosa, dagli effetti non del tutto prevedibili, specie per chi soffre di disturbi cardiaci o è in un particolare stato di alterazione. Il Taser o pistola elettrica, che da settembre è stata messa in sperimentazione per alcuni equipaggi di Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza di 12 città italiane e che da giugno sarà in dotazione alle forze dell'ordine, ha diviso sin dal suo esordio, datato 1969.
E ancora oggi che viene usato in 107 Paesi del mondo e lodato da molti operatori della sicurezza per la sua efficacia dissuasiva, c'è chi - statistiche alla mano - giura sulla sua pericolosità.
I "pro" fanno notare come già di per sé il ricorso al taser sia alternativo a quello dell'arma da fuoco, necessariamente più pericoloso perché letale: l'Axon, azienda produttrice, cita un report - risalente al 2009 - secondo cui il 99,75% dei "sospetti" colpiti con la pistola elettrica non hanno lamentato danni o hanno parlato di danni lievi come abrasioni e lividi.
Un'arma "intelligente", insomma, basata su una piattaforma completamente digitale, che consente di "regolare la scarica, seguire controlli dello stato di salute e fornire dati analitici su come e quando viene utilizzata".
Una posizione, questa, decisamente non condivisa dall'Onu, che ha classificato il taser tra gli "strumenti di tortura" e da organizzazioni come Amnesty International, convinta che, "prima di mettere a disposizione delle forze di polizia questo tipo di armi, andrebbe effettuato uno studio sui rischi per la salute e andrebbe garantita una formazione specifica per gli operatori".
Anche Amnesty chiede conforto ai numeri: negli Usa e in Canada, dal 2001 il numero delle morti "direttamente o indirettamente" correlate al taser sarebbe superiore al migliaio. E nel 90% dei casi, le vittime erano disarmate.