Lo sancisce l’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, un documento che l’Italia ha approvato con voto pressoché unanime entrando in vigore il 2 luglio 2013: “I responsabili di atti sessuali non consensuali con penetrazione vanno perseguiti penalmente”. Cinque anni e mezzo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di quella legge, però, il nostro Paese continua a non avere una normativa adeguata a soddisfare quanto sottoscritto.
Il problema, denuncia Amnesty International, è proprio l’assenza del “consenso” tra le condizioni previste dal codice penale italiano che invece considera altre tre situazioni per parlare di violenze sessuali: la violenza, la minaccia e l’abuso di autorità. “I trattati internazionali si ratificano per attuarli, non per bellezza”, l’affondo del portavoce nazionale Riccardo Nuri.
Consenso: il termine attorno cui ruota l’intera questione
Il documento di Istanbul, chiamato ufficialmente “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, risale all’11 maggio 2011. All’Agi Nuri spiega che il testo “prevede che laddove non vi sia consenso esplicito il rapporto sessuale sia da considerarsi stupro”. Ma che cosa s’intende per consenso esplicito? “Un’espressione di accordo e consenso che deve precedere in maniera manifesta e evidente ogni relazione sessuale”, chiarisce Nuri.
Parlare di consenso è importante perché, in alcuni casi di violenza, può capitare che la persona offesa si protegga “con uno stato di alienazione”. Situazioni in cui chi subisce l’atto non oppone resistenza; se non vengono ravvisati neppure segni di violenza, quell’episodio rischia di essere impunito. Cosa che può capitare anche all’interno delle mura domestiche, come rivelato da una ricerca dell’Istat del 2015: “Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner”, osservava l’istituto di statistica.
“È ora di adeguarsi, c’è il rischio di stupratori impuniti”
Come detto, il codice penale italiano, che tratta le violenze sessuali negli articoli 609-bis e seguenti, parla di “compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità”. Le pene previste vanno da 5 a 10 anni, ma sono diminuite “fino a due terzi in caso di forme meno gravi di violenza”. Dell’assenza di consenso non c’è traccia.
“Chiediamo che l’Italia modernizzi la normativa in materia di stupro per tre ragioni – prosegue Nuri – Innanzitutto perché quella attuale rischia di farsi sfuggire casi gravi, di lasciare stupratori impuniti. In secondo luogo perché siamo di fronte a un obbligo giuridico, cioè la convenzione di Istanbul; e poi perché la giurisprudenza, con alcune sentenze negli ultimi anni, ha dimostrato la necessità di aggiornare la legislazione”.
“Il diritto sta evolvendo grazie alla giurisprudenza e non alla legislazione – spiega Nuri - Occorrono strumenti di legge”.
L’Italia non è però l’unico Paese ad aver ratificato la Convenzione di Istanbul senza però aver poi adottato gli opportuni passi legislativi: “Soltanto in 8 definiscono lo stupro sulla base dell’assenza di consenso”. Sono Irlanda, Inghilterra e Galles (che hanno un’unica giurisdizione), Scozia, Irlanda del Nord, Belgio, Cipro, Germania, Svezia e Lussemburgo. Tra gli assenti c’è anche la Danimarca che, stando ad Amnesty, avrebbe un particolare problema con gli stupri.
Il caso danese: il governo promette di modificare la legge
La denuncia, in questo caso, arriva da un rapporto appena pubblicato e intitolato “La terrificante cultura dello stupro in Danimarca”. Non soltanto manca “l’assenza di consenso” come condizione per parlare di stupro; Copenaghen avrebbe anche a che fare con enormi difficoltà a perseguire e condannare gli aggressori: “Per il ministero della Giustizia – si legge – nel 2017 sono state stuprate o soggette a un tentato stupro 5.100 donne” (secondo la University of Southern Denmark sarebbero cinque volte di più, 24 mila). In ogni caso, soltanto in “890 si sono presentate alla polizia: le denunce, 535, hanno portato ad appena 94 a condanne”.
Dal rapporto sulla Danimarca emerge anche che le vittime di stupro trovino "immensamente traumatizzanti la denuncia e le sue conseguenze, in particolare per via di domande inappropriate, indagini inadeguate e scarsa comunicazione". La paura, raccontano le 18 testimoni sentite da Amnesty, è quella “di non essere credute o addirittura venire incolpate e svergognata dalla polizia e dai funzionari della giustizia”. Accuse gravi, che hanno convinto il ministro della Giustizia danese Søren Pape Poulsen a promettere l’impegno del governo a rivedere la legge sullo stupro prendendo in considerazione il tema del consenso.