Mani bioniche sempre più simili a quelle “naturali”. Un sogno inseguito dai nostri ricercatori per oltre 10 anni e che, passo dopo passo, sta portando a risultati straordinari. Non è un caso se oggi la rivista Science Robotics ha pubblicato due studi made in Italy che, oggi, sono anche al centro di un evento organizzato all’Accademia dei Lincei a Roma. Protagonista del primo studio è Clara, una 40enne palermitana doc, che ha perso la sua mano sinistra più di 30 anni fa.
Da allora Clara ha imparato a fare tutto solo con quella destra: dal lavarsi i denti ad arricciarsi i capelli, fino a stappare una bottiglia di prosecco o cucinare e apparecchiare la tavola. Per tutto questo tempo ha rifiutato qualsiasi altra protesi che non fosse solo “estetica”. Ma ora che ha provato quello che la tecnologia può restituirle per lei è praticamente impossibile pensare di ritornare indietro.
Il nuovo mondo di Clara si è aperto grazie al progetto Sensibilia, promosso da Inail e dall’Università Campus Biomedico di Roma. I ricercatori sono riusciti a “umanizzare” il più possibile le protesi mioelettriche, quelle cioè che rispondono generalmente ai relativi segnali muscolari inviati da chi la indossa. È così che Clara è riuscita per esempio a utilizzare la mano bionica per mettersi il rossetto, scrivere al pc e versarsi un bicchiere d’acqua sentendo realmente quello che stava facendo. È riuscita addirittura a giocare al biliardo.
Non solo. Ha potuto sentire gli oggetti, ad esempio capire con il solo tocco se sono morbidi o duri. Tutto questo bendata e con la musica alta nelle cuffie. E forse un giorno potrà ritornare a fare quello che più le manca da quel maledetto giorno in cui ha perso la sua mano. “Uno dei momenti più brutti della mia vita da quando ho solo una mano - racconta - è stata sempre quella di pensare di non poter tenere più in mano una faccia. Come si fa proprio quando si accarezza il viso di una persona a cui si vuole bene”.
“L’obiettivo che ci siamo posti per questa sperimentazione – sottolinea Loredana Zollo, professore associato di Bioingegneria e responsabile ingegneristica del progetto – è stato quello di sviluppare e rendere fruibile in 36 mesi un sistema protesico che avesse una capacità di controllo sensori-motorio basato sulla comunicazione bidirezionale con il sistema nervoso e la sensibilità tattile, tale da consentire il riapprendimento delle abilità manuali fini e la manipolazione degli oggetti, nonché la possibilità di restituire il senso del tatto al paziente attraverso le interfacce neurali impiantate nei suoi nervi. Il risultato finale ci sembra positivo e schiude nuovi scenari nelle prospettive di impianto di arti bionici, probabilmente anche attraverso nuove tecnologie non invasive, per tanti pazienti del Centro Protesi INAIL come Clara”.
Nell’altro studio pubblicato su Sciences Robotics, due gruppi di scienziati presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il Politecnico di Losanna, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Università Cattolica, sono riusciti ad avvicinarsi ancora di più all’ambizioso obiettivo del recupero completo delle sensazioni della mano dopo un’amputazione. I ricercatori hanno lavorato su una protesi robotica di nuova generazione impiantata nei nervi del paziente, in grado di ricevere informazioni sensoriali quando entra in contatto o manipola oggetti. In sostanza hanno superato uno dei limiti più grandi delle attuali protesi, cioè quello di non sentire gli oggetti.
E lo hanno fatto utilizzando la stimolazione intraneurale: tramite impulsi elettrici inviato da elettrodi inseriti nei nervi dell’arto superiore amputato è possibile ripristinare il normale flusso di informazioni che giungono dall’esterno. In definitiva, il paziente dopo un apposito training impara progressivamente a tradurre questi impulsi in sensazioni di natura tattile e/o propriocettiva, cioè a considerare la protesi come una parte naturale del proprio corpo.
Questo approccio ha permesso a due soggetti amputati di riguadagnare un’elevata “acuità propriocettiva”, con risultati paragonabili a quelli ottenuti in soggetti sani. La simultanea presenza di un feedback propriocettivo e di uno tattile ha consentito ad entrambi gli amputati di distinguerele dimensioni e la forma di quattro oggetti con un importante livello di accuratezza (75,5 per cento).
“Questo importante risultato – dice Paolo Maria Rossini, responsabile clinico degli studi - segue di poco il nostro recente studio pubblicato su Annals of Neurology dove abbiamo dimostrato nei pazienti coinvolti che è possibile utilizzare a lungo termine (molti mesi) questo tipo di tecnologia esplorandone anche la valenza clinica. Inoltre, nei pazienti con dolore da ‘arto fantasma’ (dolore percepito nella mano amputata) la mano robotica sensorizzata ha determinato un sensibile miglioramento”.