In giro ci sono diverse truffe online che riguardano bitcoin. Mail che chiedono il pagamento di un riscatto per sbloccare la posta elettronica, o un sito, o per evitare la diffusione di nostre immagini private prese dalla webcam. Generalmente si tratta di falsi, e spesso si tratta di mail in inglese inviate da truffatori che si trovano all'estero.
Ma quello che sarebbe successo a Milano è qualcosa al di là delle truffe consuete. Quasi romanticamente in linea con la tradizione delle truffe analogiche, in un mondo dove il valore è sempre più digitale e il raggiro si è adeguato. Nel tribunale del capoluogo lombardo ci è finito un cittadino serbo di 40 anni, residente in un campo nomadi di Pero, a processo con l'accusa di avere messo a segno una truffa da 42 mila euro ai danni di un giovane appassionato di bitcoin.
Non si sa il nome del presunto truffatore, né quello del truffato, ma stando alla ricostruzione della Procura e del legale della persona offesa l'imputato si sarebbe fatto accreditare 74,1 bitcoin nel corso di un incontro con la presunta vittima a cui avrebbe lasciato una valigia contenente banconote poi rivelatesi false.
Gli incontri in ristoranti, dove il serbo si diceva imprenditore russo
Il ragazzo sembra aver accolto una buona quantità di bitcoin dal 2011. Li minava dal suo computer di casa quando era ancora possibile farlo (oggi minare bitcoin è molto più complicato, richiede macchine più potenti e molta più energia). Non si sa per quale motivo abbia deciso di venderli in contanti ad uno sconosciuto invece di rivolgersi alle piattaforme di compravendita di criptovalute: fatto sta che Nel 2016, quando bitcoin valeva circa 500 dollari, si incontra in un ristorante toscano con il serbo-rom, che si spaccia per un imprenditore russo. Si scambiano qualche bitcoin, e incassa un po' di soldi in contante. Una prova per stabilire un contatto e fiducia, andata a buon fine.
Pochi giorni dopo, l'uomo si sarebbe detto disponibile a comprarne altri 74 per un valore di 42 mila euro e i due avrebbero fissato un nuovo appuntamento, questa volta a Milano, dove il russo avrebbe mostrato una valigetta contenente il denaro contante. A quel punto, la presunta vittima avrebbe effettuato la transazione che entrambi hanno verificato sul cellulare attraverso i rispettivi wallet (il 'portafoglio' dei bitcoin).
La fuga, la valigia di carta straccia
A questo punto però scatta la truffa, sostengono i legali del truffato. Il sedicente imprenditore russo, poi identificato come un serbo che vive in un campo di Pero, dice al giovane bitcoiner di volersi andare a lavare le mani prima di cenare. Invece di andare in bagno però si allontana dal ristorante lasciando da solo il ragazzo che dopo qualche minuto fiuta che qualcosa non va, apre la valigia, e dentro ci trova carta straccia.
Sembra la più classica delle truffe, come quelle che si vedono ad esempio in un film diventato un cult della commedia italiana e napoletana: Pacco doppio pacco e contropaccotto (Nanni Loy, 1993), anche se lì invece della carta straccia c'erano i mattoni. L'ipotesi del legale della parte offesa è che un complice seduto al tavolo a fianco abbia scambiato la valigetta, dopo la verifica sui cellulari. Proprio come, per chi ricorda il film, capitava nella pellicola di Loy.