Da ventisei anni lo Stato dà la caccia a Matteo Messina Denaro, 56 anni, uno degli ultimi boss di una generazione a cavallo tra la mafia stragista dei corleonesi e i nuovi business globali. Oltre un quarto di secolo di indagini, centinaia di arresti e decine di sequestri e confische non hanno messo fine alla latitanza del capomafia, che stende la sua influenza in raggio molto più ampio della sua città d'origine, Castelvetrano, in provincia di Trapani. Le inchieste della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo hanno smantellato alcune delle principali reti di comunicazione del boss, con l'arresto di complici e familiari fidati: la sorella Patrizia, i cognati più affidabili e Francesco Guttadauro, il 'nipote del cuore'.
Le indagini proseguono nel massimo riserbo. Alcune fonti hanno segnalato la presenza di Messina Denaro in Brasile, altre in Spagna e in Inghilterra, altre ancora a Mazara del Vallo, in procinto di partire per il Nord Africa. Altri giurano di averlo visto per le strade di Castelvetrano e dell'entroterra trapanese. Sono due gli orientamenti investigativi sulle ricerche del latitante: all'estero a stringere accordi o nel suo territorio 'storico', protetto da fiancheggiatori e insospettabili. Due piste parallele che in più occasioni hanno finito per intrecciarsi tra loro.
Soldi e viaggi
Indagando sulla mafia trapanese gli inquirenti hanno registrato sfoghi e delusioni di complici e familiari di Messina Denaro. Nel 2011 le microspie captarono un colloquio tra Rosa Filardo, una delle zie materne del latitante e la figlia, Giovanna Filardo: "Chiddu avi a camminnare! Vanne, chiddu vola!! E senza soldi un po' vulare!! Lo hai capito?". Frasi che evidenziano una necessità di liquidità economica ma anche facilità di movimento.
Qualche anno fa alcuni investigatori stavano lavorando su una segnalazione 'calda'. Una fonte aveva rivelato che Messina Denaro si sposta da e per la Sicilia, su piccoli aerei, usando aeroclub privati dell'entroterra trapanese, autorizzati al "volo turistico". Gli investigatori individuarono un presunto complice del boss, un uomo in possesso del brevetto da pilota e del quale furono accertati numerosi viaggi all'estero. La storia di questo personaggio nel 2014 finì in una corposa informativa che però non è mai sfociata in un'iniziativa giudiziaria. Recentemente il pilota è morto a causa di una grave malattia.
Della necessità di liquidità economica parlò anche Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del boss, divenuto collaboratore di giustizia dopo il suo arresto nel dicembre 2013. Anche Cimarosa è morto di malattia, nel gennaio 2017. "Sempre di soldi si parlava, signor presidente, solo di soldi", disse ai magistrati ricostruendo la cabina di comando della famiglia Messina Denaro. Soldi per il boss che venivano trovati, secondo Cimarosa, con appalti e lavori in ogni campo, dall'edilizia alla green energy. "Ho versato a Guttadauro in più tranche 60 mila euro (proventi dei lavori di un parco eolico). L'ultimo versamento di 8 mila euro l'ho fatto nello scorso ottobre", ha riferito Cimarosa che ha ricostruito anche la consegna di denaro proveniente da Vito Nicastri (arrestato dai carabinieri a marzo 2018) e finito al solito Guttadauro che li avrebbe consegnati a Messina Denaro.
Massoneria e microspie
Sullo sfondo della latitanza di Messina Denaro si profilano i legami tra la mafia trapanese e la massoneria deviata. E del resto a Trapani nel 1986 fu scoperta la loggia riservata "Iside 2", nata nel 1980 all'interno del circolo privato Scontrino, frequentato dai maggiorenti della città. La Commissione parlamentare Antimafia ha approfondito la materia; e nel Comune di Castelvetrano, il cuore del regno di Messina Denaro, nel dicembre 2017 ha contato "4 assessori su cinque iscritti alla massoneria".
La Procura di Trapani aveva aperto un fascicolo per "associazione segreta" nell'ambito delle ricerche del latitante. In quello stesso periodo si verificarono episodi inquietanti: una misteriosa intrusione nell'ufficio del procuratore capo Marcello Viola, e il ritrovamento di una microspia sull'auto del sostituto procuratore Andrea Tarondo, che indagava sulle logge trapanesi. Dopo averli ascoltati in commissione Antimafia il vice presidente Claudio Fava disse che "ci sono "interferenze" nelle indagini dei magistrati "per via della massoneria".
La marcia indietro del pentito
Di mafia e massoneria ha parlato anche l'ultimo pentito, Giuseppe Tuzzolino, architetto originario di Agrigento, protagonista di una controversa collaborazione con i magistrati, finita con il suo arresto per calunnia nell'agosto 2017. Nel 2014 aveva iniziato a riferire ai pm della Dda alcuni dettagli circa la latitanza di Messina Denaro, ricostruendo fiancheggiatori e coperture eccellenti. Tra gli inquirenti non c'era una valutazione unanime dei suoi verbali, piuttosto differenti "riflessioni dei due gruppi Dda Trapani e Agrigento che non avevano visioni unitarie sulla attendibilità di Tuzzolino", disse il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi.
Poi Tuzzolino riferì di un presunto attentato in programma contro i magistrati Principato, Viola, Lo Voi e Marco Verzera, all'epoca in servizio a Trapani. Sostenne che a confidarglielo era stato un avvocato, Ennio Sciamanna, noto per aver difeso altri collaboratori di giustizia. Gli agenti della Squadra Mobile di Caltanissetta indagarono su Tuzzolino e svelarono che la minaccia di attentato era falsa. Lo stesso Sciamanna, ascoltato dai pm, smentì di aver riferito notizie analoghe. Tuzzolino dopo l'arresto ha rinunciato allo status di collaborante e i giudici nel febbraio 2018 lo hanno condannato con il rito abbreviato a tre anni e otto mesi. Adesso è in corso il processo d'appello.
Inquirenti indagati
Alcuni anni fa due carabinieri in servizio a Palermo, denunciarono i vertici dell'Arma sostenendo che avrebbero loro impedito di continuare le indagini su Messina Denaro. Adesso i due militari sono sotto processo a Palermo per calunnia. Nel 2012 Maria Teresa Principato (procuratore aggiunto della Dda di Palermo dal 2009 all'aprile 2017 e in quel periodo a capo delle ricerche del latitante) denunciò di essere stata "stoppata" perché dopo una riunione "mortificante" l'allora procuratore Francesco Messineo autorizzò l'arresto di Leo Sutera, capomafia di Agrigento. La Principato, che indagava (a stretto contatto con i carabinieri) sul boss agrigentino, era convinta che Sutera potesse condurre a Messina Denaro e quindi non riteneva opportuno arrestarlo in quel momento. L'arresto fu invece eseguito nell'ambito di un'altra indagine, non concentrata su Messina Denaro, e diretta dal pm Vittorio Teresi (con l'ausilio della polizia).
Un caso a parte è quello di Calogero Pulici, appuntato della Guardia di Finanza applicato alla segreteria della Principato dal 2009 all'agosto 2015. Il militare venne allontanato dagli uffici della Procura nell'estate 2015 dopo essere stato denunciato da un collega per molestie sessuali alla sua compagna. L'indagine è stata infine archiviata, ma prima di essere scagionato Pulici è stato intercettato. E quando nel dicembre dello stesso anno - a tre mesi di distanza dall'allontanamento - gli fu concesso di recuperare i suoi effetti personali, segnalò per via gerarchica la scomparsa di "un computer portatile da 10 pollici di mia proprietà" e "di due pen drive da 1gb ciascuna contenenti i file riguardanti tutte le indagini su Messina Denaro e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia".
Questi supporti informatici, secondo fonti qualificate della Guardia di Finanza, sarebbero stati in effetti oggetto di sequestro per essere sottoposti a perizia. Poco dopo, infatti, Pulici è stato indagato per peculato dalla Procura di Palermo con l'accusa di aver sottratto lui un computer dagli uffici, e nel giugno 2016 ha subito varie perquisizioni dalle quali sono scaturiti i processi per cui adesso è imputato assieme ai magistrati Maria Teresa Principato e Marcello Viola, dinanzi al gup del Tribunale di Caltanissetta per rivelazione di segreto d'ufficio.
Capo silente
Recentemente il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, ha detto che "il 2019 è l'anno in cui Messina Denaro verrà arrestato", ma i vertici delle forze investigative hanno tracciato un profilo anomalo del latitante, rispetto ad altri capimafia arrestati nei decenni scorsi. "Probabilmente non ha più alcun ruolo nell'organizzazione e quindi è defilato - ha detto Renato Cortese, questore di Palermo - non lascia tracce, non partecipa alle riunioni, non ha strategie criminali, gli affiliati non rendono conto a lui".
Sabato scorso il direttore della Dia, Giuseppe Governale, ha aggiunto che Messina Denaro "è formalmente soltanto il reggente della mafia di Trapani e non comanda l'intera Cosa Nostra. Periodicamente - ha proseguito Governale - facciamo pulizia di tutti i suoi uomini, a Castelvetrano e dintorni, grazie ad attente indagini condotte da una task force che si sacrifica e si dedica alla sua ricerca, e dalle investigazioni emerge che non ha alcuna valenza operativa, alcuna operatività reale sul territorio".
All'inaugurazione dell'anno giudiziario il presidente della Corte d'Appello di Palermo Matteo Frasca ha precisato che "il territorio di Castelvetrano è divenuto vulnerabile a causa, per un verso, della mancanza su quel territorio di soggetti mafiosi di rango in libertà , e, per altro, dalla ritenuta scelta di Matteo Messina Denaro che non ha autorizzato omicidi e azioni violente, come invece auspicato da buona parte del popolo mafioso di quei territori".