Lo Stato di New York ha appena votato la messa al bando delle cosiddette terapie di conversione degli omosessuali minorenni, cioè le pratiche – tutto fuorché scientifiche – che mirano a modificare gli orientamenti sessuali delle persone. È il quindicesimo Stato a legiferare in tal senso negli Stati Uniti; il suo governatore, il democratico Andrew Cuomo, ha definita la terapia di conversione una pratica “infondata e dannosa”.
L’Italia, invece, è priva di leggi simili a quelle statunitensi. Durante la scorsa legislatura ci avevano provato – inutilmente - Sergio Lo Giudice, presidente onorario di Arcigay, e altri diciassette senatori: il loro disegno di legge, intitolato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori”, non è però mai stato discusso.
“Quel testo è decaduto e ora non è aria di riforme di questo genere” spiega Lo Giudice all’Agi. La proposta di riforma prevedeva “la reclusione fino a due anni” e multe “da 10.000 a 50.000 euro” per chiunque faccia uso di “pratiche finalizzate a modificare l’orientamento sessuale di un individuo”.
Il j’accuse di Lo Giudice verso le associazioni cattoliche
Per i promotori di quel ddl erano terapie di conversione, o di riparazione, “i tentativi di modificare i comportamenti o le espressioni di genere” e quelli “di eliminare o ridurre l’attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi”.
Per Lo Giudice queste terapie “non sono soltanto inutili, dal momento che non è possibile modificare l’orientamento sessuale di una persona, ma anche molto dannose perché può provocare la perdita di autostima e causare auto-stigma”, cioè la condizione di chi patisce dei pregiudizi al punto da assumerli come veri.
Il suo disegno di legge, il primo tentativo simile in Italia, è rimasto fermo fino alla scadenza della legislatura: “Con quella maggioranza non sarebbe stato facile portare avanti una legge così – spiega Lo Giudice - Di fronte a noi non abbiamo soltanto truffatori e imbonitori ma anche pezzi di associazioni cattoliche che, pur senza rivendicare in maniera esplicita la bontà di queste pratiche, le avallano e contribuiscono a creare il clima perché possano essere praticate”.
Quali? Lo Giudice fa il nome di Courage Italia, un apostolato della Chiesa Cattolica che “offre accompagnamento spirituale alle persone con attrazione per lo stesso sesso”, come si legge sul sito web dove si parla anche di “andare oltre i confini dell’identità omosessuale” tramite “una vita interiore di castità”.
Courage, che non è stato possibile contattare immediatamente, sul proprio sito chiarisce di “non offrire alcun tipo di terapia ma piuttosto aiuto spirituale” e, lo scorso 28 maggio 2018, aveva diffuso un comunicato stampa in cui sosteneva di “non fornire, rinviare a, o richiedere alcuna forma di terapia per i propri membri”, ribadendo che “il primo obiettivo dei membri di Courage è vivere una vita casta secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica riguardo alla sessualità in generale e all’omosessualità in particolare”.
Courage: “Per le terapie rivolgetevi ai medici cattolici”
“Courage li vende come interventi non sull’identità omosessuale ma sul disagio provocato da queste pulsioni in persone che non vogliono essere omosessuali – replica Lo Giudice -. Ma una persona che non vuole essere omosessuale non è altro che una persona che sente su di sé lo stigma sociale del gruppo di riferimento, spesso proprio quello religioso. Da una parte si stigmatizza l’omosessualità, dall’altra si pretende di aiutarla a superare questo disagio modificando la sua natura. È un circolo vizioso: sarebbe come se un gruppo di razzisti si proponesse di far diventare bianchi dei neri per eliminare la discriminazione”.
Come detto Courage Italia sostiene di non fornire terapie. Eppure il sito ufficiale contiene una pagina chiamata “Un’appropriata terapia”, dove si citano le parole del vescovo Reig Pla secondo cui “la particolare inclinazione della persona omosessuale è oggettivamente disordinata” ed è “moralmente obbligatorio disporre tutti i mezzi legittimi per correggere tale inclinazione”.
Non solo, al fondo di quella stessa pagina web Courage Italia suggerisce di rivolgersi all’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (Aippc) e all’Associazione Terapisti Cattolici (Atc) “per contattare un professionista qualificato che comprenda e sostenga l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità”. Sul tema la Santa Sede condanna la discriminazione nei confronto degli omosessuali (“Devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza”, recita l’articolo 2358 del Catechismo), ma ne considera gli atti “contrari alla legge naturale”.
Lo stesso Papa Francesco, lo scorso agosto tornando da Dublino, aveva per certi versi aperto all’omosessualità spiegando che “ignorare il figlio o la figlia con tendenza omosessuale è una mancanza di paternità e maternità”, ma utilizzato poi il termine “psichiatria” per indicare eventuali approcci da seguire nel caso di bambini omosessuali.
I medici cattolici negano ogni coinvolgimento
Francesco Bungaro è il presidente dell’Atc. L’Agi lo ha contattato per capire il motivo per cui l’associazione di cui è presidente viene indicata sul sito di Courage, dalla quale non esita a prendere le distanze: “Non siamo sulla stessa linea di Courage Italia – le sue parole – e non ritengo valida la terapia di conversione. Se una persona ha un disturbo conclamato è un discorso diverso, sia che sia omosessuale che eterosessuale”. Nessuna differenza tra i diversi orientamenti, insomma: “È una scelta”, conclude Bungaro (anche se in realtà l’omosessualità è una “variante naturale del comportamento umano”, come stabilito dalla World Medical Association nel 2013, e non “una scelta”).
Sulla stessa linea d’onda il commento di Tonino Cantelmi, psichiatra e presidente dell’Aippc, che pur decidendo di non rispondere ad alcune domande ha ribadito il proprio no alle terapie riparative, una posizione adottata dall’associazione già nel 2010.
Sul sito di Courage, in ogni caso, per il momento rimangono i link alle due associazioni. Dalla politica, invece, silenzio: non è stata ricevuta alcuna risposta dallo staff del ministro della Salute Giulia Grillo alla domanda se ritenga opportuno che l’Italia si doti di una legge sul tema.