“Perché è sempre buio?”. Louis Braille, nacque il 4 gennaio del 1809 in un paesino vicino a Parigi e diventò cieco a cinque anni. Ultimo di quattro figli, a tre anni fu vittima di un incidente: un punteruolo gli perforò l’occhio sinistro mentre provava a imitare il padre, mastro sellaio e conciatore, nella sua officina. L’infezione che ne scaturì compromise, due anni dopo, anche l’occhio destro. Non compromise però il suo futuro. Studente brillante, fu incoraggiato a studiare dai genitori che avevano capito quanto una formazione culturale potesse essere utile. Tutti i figli di casa Braille sapevano leggere e scrivere.
Louis Braille (1809 - 1852). Foto Afp
A dieci anni, Louis ottenne una borsa di studio alla Institution des Jeunes Aveugles, un istituto per non vedenti fondato venticinque anni prima da Valentin Haüy, educatore parigino che aveva trovato un modo ingegnoso per insegnare ai ragazzi ciechi a leggere, ma non a scrivere, e che fu decisivo per indirizzare il giovane verso un futuro fatto di musica (era un organista, un pianista e un violoncellista di talento), di insegnamento (nello stesso istituto che lo accolse) e di invenzioni.
L’incontro con il capitano Charles Barbier
Un inventore spesso diventa tale quando incontra un suo collega. Uno di quelli capaci di far scoccare una scintilla in una mente già preparata. Ed è quello che successe a Louis Braille quando incontrò Charles Barbier de La Serre, capitano d’artiglieria dell’esercito napoleonico e padre dell’Ecriture Nocturne, in visita all’istituto per testare il suo “prodotto”.
La scrittura notturna di Barbier si basava su dodici punti, divisi in due colonne, le cui combinazioni andavano a rappresentare i vari suoni della lingua. Questi, infatti, erano da lui ritenuti più adatti alla missione del suo alfabeto: decifrare messaggi militari al buio da far circolare nelle trincee. Un sistema adatto ai militari, vedenti e non, ma più complicato per chi, invece, privato della vista, voleva semplicemente imparare a leggere.
L’obiettivo dell’adolescente Braille, stanco di sentire la voce della sorella o dei maestri che declamavano poesie o passi di romanzi e racconti, partì da una semplificazione del sistema di Barbier: in fondo, potevano bastare anche solo sei punti. In rilievo disposti su due colonne verticali da tre. Un sistema che perfezionò e pubblicò nel 1829 in un saggio dal titolo lungo ma molto musicale: Procédé pour écrir les Paroles, la Musique et le Plain-chant au moyen des points, à l’usage des aveugles et disposé pour eux. Ovvero: “Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro”. Braille scrive, su un foglio diviso a righe, con un punteruolo che solleva piccoli coni di carta rigida nel punto perforato. Quello stesso strumento che gli tolse la vista, insomma, ora era in grado di restituirgliela.
Nel 2004, una delle copie originali dell’opera venne battuta da Christie e comprata per una cifra di poco superiore a 37 mila euro. All’interno di quel testo c’era una frase in grado di spiegare più di tutte l’urgenza e la necessità che Braille sentiva nel dover costruire una nuova forma di comunicazione per i ciechi come lui: "Ironicamente, per essere capito da tutti, Louis Braille è stato costretto a usare, per spiegare il suo nuovo sistema di lettura per non vedenti, l'unico sistema allora in uso e che l’avrebbe sicuramente condannato, quello di Valentin Haüy”. Qualcosa di antiquato e superato.
Le edizioni successive
Ma come molti altri geni, Braille non era totalmente soddisfatto della sua opera. La cambiò, la migliorò, la perfezionò continuamente. Una seconda edizione vide la luce nel 1837 con all’interno, una riproduzione del Padrenostro, sia lineare che in rilievo, segno della sua devozione verso Dio. L’edizione venne esposta nel 1839 e l’allora direttore dell’istituto, Pigner, ne invio copie negli Stati Uniti e in Europa. Anche a Milano e a Napoli. Oggi abbiamo un documento, datato 21 ottobre 1863 in cui gli insegnanti dell’Istituto dei Ciechi di Milano, confermavano che “la nuova scrittura Braille veniva proposta ai ragazzi ciechi in via sperimentale, e che i vantaggi che essa procurava erano di gran lunga superiori agli svantaggi”.
Il direttore Pigner fu anche il destinatario di diverse lettere che l’inventore scrisse nei periodi di riposo, lontano dal centro parigino, per combattere uno stato di salute sempre più cagionevole: “Dobbiamo innanzitutto vivere, poi lavorare: la salute è un tesoro di cui non conosciamo il prezzo fino a quando non la perdiamo”.
Nel 1839, Braille pubblicò anche un altro saggio: Nouveau procédé pour représenter par des points la forme même des lettres, les cartes de géographie, les figures de géométrie, les caractères de musique etc., à l’usage des aveugles. All’interno spiegava come vedenti e non vedenti, attraverso un sistema comune, potevano comunicare con estrema facilità elidendo le barriere che dividevano questi due mondi. Più tardi inventò anche un’estensione del metodo per la matematica (Nemeth Braille) e per le note musicali (Codice musicale Braille).
Un desiderio di universalità ripreso più tardi, nel 1949, dall’Unesco quando decise di uniformare i vari alfabeti Braille: il sistema venne così adottato nelle lingue arabe, in quelle orientali e nei dialetti africani. I ciechi di tutto il mondo, nel 2018, scrivono e leggono combinando i pallini in 64 modi differenti. Tutte combinazioni che servono per capir e diffondere lettere, numeri, segni di interpunzione, simboli matematici, informatici, chimici, note. Un ricco universo espressivo che ha abbracciato anche le nuove tecnologie, spesso il frutto dell’intuizione di nuovi inventori. Anch’essi ispirati dall’opera del loro illustre predecessore.
L’istituto e la morte
Il destino non fu certo benevolo con Louis Braille neanche dopo la pubblicazione del suo metodo innovativo. Gli storici raccontano di come il nuovo direttore dell’Istituto, Pierre-Armand Dufau, il successore di Pigner, non vedesse di buon occhio quel sistema nuovo così difficile da decrittare. Pensava che fosse un modo, per gli allievi, di mandarsi messaggi segreti. La visione opposta a quella di Braille che voleva unire e non ghettizzare. Così gli preferì un sistema diverso, quello creato da John Alston in un ricovero per ciechi in Galles.
La prima opera in Braille, fuori dall’istituto francese, sarà stampata lontano, in Brasile, nel 1850, quando ormai Louis si stava spegnendo a causa di una aggressiva forma di tubercolosi che lo porterà via a soli a 43 anni. Una malattia che probabilmente aveva contratto all’interno di quell’istituto che lo accolse da bambino e che lo portò via ancora molto giovane. La sua casa natale accoglie ora un Museo a lui dedicato, affidato alle cure della WBU, l’Unione Mondiale dei Ciechi. Braille oggi riposa nel Pantheon di Parigi, dove la sua salma è stata spostata in occasione del centenario della sua morte nel 1952. Quello è il posto riservato ai “grandi” della Francia. Il luogo più giusto per un inventore, un rivoluzionario, un’amante della vita e della scrittura come lui.