Dalle prime ore della mattinata Massimo Gramellini è l’argomento più discusso sui social in Italia. Google Trends in queste ore regista un picco nei motori di ricerca, e sulle bacheche di Facebook campeggia il suo Caffè con ogni tipo di commento possibile. Il vicedirettore del Corriere della sera ha dedicato la sua rubrica di giovedì 22 novembre a Silvia Romano, la volontaria milanese di 23 anni rapita due giorni fa in Kenya da una banda di somali: non si sa se semplici rapinatori o jihadisti legati ad al-Shabab.
Sono due le frasi che hanno suscitato l’indignazione dei social in queste ore. La prima è l’attacco dell’articolo:
Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto.
La seconda, dopo che il giornalista ha chiarito che l’oggetto del suo commento non è la giovane volontaria ma chi in queste ore la sta criticando sui social è:
E non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni. L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare.
Gramellini è accusato da utenti, colleghi e decine di articoli pubblicati in queste ore di aver adottato la retorica populista. La frase incriminata è la prima, dove dà ragione a chi sostiene che avrebbe potuto fare benissimo volontariato in Italia, ma avrebbe ceduto a quelle che definisce “smanie d’altruismo”. Non solo.
È accusato di avere il cuore ‘indurito’ dalla sua posizione, dal suo status, sordo oramai allo spirito di una ragazza che decide di fare volontariato. Per la seconda frase invece è finito sulla graticola delle tastiere perché sostiene in sostanza che chi vuole cambiare il mondo facendo del bene si illude. Insomma sembra suggerire che il mondo è quello che è, con i suoi difetti, con le sue ingiustizie, e non può essere altrimenti.
Le reazioni sui social, i commenti dei blog
In queste ore, oltre a commenti sui social, insulti, tanti, e meme ironici, sono spuntati anche i primi commenti dei siti di informazione. Tutti molto critici con Gramellini. Wired ad esempio scrive così al termine di un articolo dove si racconta quello che definisce “più di uno scivolone”: “Il mondo di Gramellini è così, non solo immobile e profondamente tradizionalista e conservatore, ma anche pregiudizialmente zuccherato, in cui anche il rapimento di un operatore di solidarietà internazionale diventa una storiella da Liala con una morale commestibile: beati i giovani, con la loro spensieratezza un po’ scema”.
Rolling Stone accusa Gramellini di essersi piegato alle logiche populiste e parla nel titolo di "radical 'fa-chic'", forse alludendo con il prefisso 'fa' al fascismo, di cui il populismo è diventato per alcuni una sorta di sinonimo, senza però rinunciare all'accusa più generica di radical-chicchismo: "Perché fa chic il populismo in punta di penna – quale, poi, che neanche Montanelli nei Controcorrente più controversi è stato capace di scrivere quattro righe così meschine – e perché c’è un modo razzista, elitista, classista di pensare che alberga proprio in quei luoghi delle metropoli bene del nostro paese".
E il social media manager di Salvini Luca Morisi twitta:
Next Quotidiano invece difende una tesi, molto popolare sui social, che è quella di chi sostiene qualcosa come: chi lo critica è perché ha letto solo il titolo, o solo le prime righe, o comunque lo ha letto e non lo ha capito. E dopo un’analisi del testo chiosa: “Gramellini quindi prima dà ragione e poi critica gli insulti e gli insultatori della Costanzo. Sicuramente è cerchiobottista, ma il suo non è un modo di schierarsi con il populismo, ma un invito all’approfondimento”.
Luca Sofri sul suo blog illumina la questione da un’altra prospettiva. Pur criticando il contenuto del commento, spiega perché le frasi di Gramellini sono effetto di quello che chiama il “premettismo” di cui soffrono oggi i commentatori per non scatenare dure critiche a quello che scrivono. Per proteggersi dal “terrorismo ricattatorio”. Un segno dei tempi, per Sofri, che è “la prova che il terrorismo ha vinto, costringendo chi scrive a dichiarare la propria obbedienza, una specie di cartello al collo, pur di poter esprimere un moderato dissenso sulle forme. Una demagogia indotta, che si allinea a quella più generale e volontaria che è diventata la linea editoriale di molti quotidiani”.