I video e le immagini diffuse lunedì da tutti gli organi di stampa hanno riportato alle cronache il tema del traffico di cuccioli di cane. Ma esistono da anni associazioni che si battono contro un fenomeno in continua ascesa. Un’ascesa che a luglio ha obbligato anche l’Europa a lavorare ad una definizione unica delle problematiche. Si, perché il problema del traffico di cani e gatti (più in generale di animali domestici) è che non tutti i paesi dell’UE sono allineati sulle normative per evitarlo. Risultato? Il traffico di animali non solo è estremamente remunerativo ma anche piuttosto semplice da mettere in pratica.
I numeri del business
Tutto ciò che serve in realtà è un veterinario consenziente che falsifichi tutti i documenti necessari. I numeri? Secondo Il Sole24Ore “In Italia si registra un traffico di circa 8 mila cuccioli che ogni settimana vengono introdotti illegalmente, per un valore commerciale di 5 milioni e 600 mila euro”. Numeri che potrebbero sembrare enormi ma per ridimensionare la nostra idea basta pensare al fatto che un cucciolo acquistato nei paesi dell’Est, zona al centro del malaffare legato agli animali (Ungheria, Slovacchia, Polonia, Romania e Repubblica Ceca soprattutto), viene pagato 60 euro e rivenduto in Italia fino a venti volte tanto, quindi 1200 euro; capirete da soli che l’affare è potenzialmente immenso.
Secondo il sito felicitapubblica.it: “I documenti dell’animale vengono falsificati e i piccoli, dopo un viaggio in condizioni estenuanti e infernali, senza cibo e acqua, precocemente sottratti alle madri vengono imbottiti di antibiotici per essere venduti presentandoli all’acquirente come cani sani e vivaci. Le madri stesse vengono considerate macchine da parto e passano la vita praticamente sempre incinte per essere poi abbattute quando non fanno più figli”. La ricerca "La movimentazione degli animali da compagnia: impatto su salute pubblica e benessere animale", finanziata dal ministero della Salute nei primi mesi del 2015 dall'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise conferma, come scrive Repubblica, che i controlli vanno aumentati soprattutto nelle regioni di confine.
Il ruolo dei veterinari
I dati indicano che l'88% dei veterinari liberi professionisti ha dichiarato di avere visitato cuccioli di provenienza estera nell'ambito della propria professione e il 59% dei veterinari Asl ha indicato di avere riscontrato anomalie all'atto dell'iscrizione in anagrafe nei cani provenienti dall'estero. Il rapporto prova anche che spesso l'età del cucciolo è inferiore a quella minima necessaria per il trasporto o per la vendita; in alcuni casi non c'era corrispondenza tra quella dichiarata sul passaporto e l'età reale o presunta”.
Naturalmente possiamo considerare eccezioni i casi di veterinari complici. Nel 2016 infatti la Federazione dei veterinari europei (FVE), i veterinari pratici (UEVP) e le Associazioni Veterinarie per Animali da Compagnia (FECAVA) hanno adottato il position paper “Working towards responsible dog trade–The position of the veterinary profession in Europe -Profit should never take priority over animal health and welfare”. Un documento che dovrebbe chiarire e posizionare all’interno del mercato degli animali (sia legale che illegale, richiamando naturalmente il medico in questo secondo caso) la figura del veterinario, player considerato, a ben ragione, fondamentale.
Il position paper, come descritto nel sito anmvioggi.it, “parte dal presupposto che, tecnicamente, il commercio di cani- in quanto "beni/prodotti"- si regge sulle stesse regole di tutte le altre transazioni economiche, secondo domanda e offerta di mercato. Ma nel caso di animali, "esseri senzienti", è necessario introdurre particolari considerazioni di salvaguardia del loro benessere oltre che peculiari di un mercato in cui domanda e offerta presentano elementi di sfasatura. Il commercio di cani in Europa è viziato da una domanda e un'offerta "mismatched", disallineate. Ulteriore circostanza evidenziata dalle sigle veterinarie è il fatto che il valore economico del prodotto-cane è strettamente dipendente dalla salvaguardia della sua salute e benessere. Nelle attuali modalità di commercio, invece, il valore economico di un cane è solitamente alto a fronte di costi di produzione spesso molto bassi. Ribassi di costo che vengono applicati a spese del benessere dei cani oggetto di compravendita. Ne consegue un vero e proprio boom commerciale che in Europa, allo stato, antepone il profitto al rispetto dell'animale venduto. In tutto questo il Medico Veterinario è uno dei player, non l'unico ma quello che può giocare un ruolo fondamentale in tutte le fasi, dall'allevamento fino al possesso post-acquisto”.
I rischi per la salute umana
Ma se a smuovere le coscienze è solo la pena nei confronti di così tanti potenziali migliori amici dell’uomo coinvolti in una situazione desolante, dovrebbe preoccuparci anche l’impatto che questo commercio ha sull’uomo, secondo il rapporto presentato all’europarlamento affinché si armonizzino le regolamentazioni in tutti i paesi dell’Unione Europea, cui stralci sono riportati dal sito europa.today.it “Molto spesso gli animali allevati illegalmente non vengono adeguatamente vaccinati, portando a vari rischi zoonotici, tra cui la diffusione di parassiti e rabbia”, quindi un traffico che “non solo ha conseguenze catastrofiche per il benessere degli animali, ma pone anche rischi per la salute pubblica“.
La Lav (Lega Antivivisezione), l’anno scorso ha presentato il secondo manuale di "Procedure per l’esecuzione dei controlli nella movimentazione comunitaria di cani e gatti”, aggiornamento del primo targato 2011, realizzato dalla stessa Lav insieme al ministero della Salute e alla Fnovi, Federazione nazionale ordini veterinari italiani. Il manuale è stato pensato per favorire la comprensione delle numerose norme che regolano gli scambi commerciali di cani e gatti tra i Paesi membri della UE. 10 capitoli nei quali vengono approfonditi temi quali procedure di controllo, identificazione, Passaporto europeo e Certificato Sanitario, obblighi di trasporto, reati e possibili sanzioni. Ecco, i reati, secondo la legge 201 del 2010, che punisce chiunque “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale animali da compagnia privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale”, è prevista la reclusione da tre mesi a un anno e una multa da 3.000 a 15.000 euro.