Vuoi la mensa scolastica per tuo figlio? Vai in Senegal e torna con in mano il certificato che comprovi le tue eventuali proprietà immobiliari nel suddetto Senegal, magari rilasciato dal catasto di Manda (centro ai confini con il Gambia così sperduto che nemmeno Wikipedia ha una voce dedicata). E che sia dotato di traduzione ufficiale in italiano, con tanto di bollo. Sennò niente mensa e nemmeno niente pulmino che te lo prende e te lo riporta a casa. A piedi, deve andare.
Anche il ministro leghista è perplesso
Nemmeno il ministro della pubblica istruzione del governo giallo-verde, il leghista Marco Bussetti, è riuscito a dirsi d’accordo con le disposizioni del comune di Lodi, dove è in vigore un regolamento che certe richieste le mette nero su bianco. I cittadini dei Paesi extra Ue che intendano accedere ai servizi sociali riguardanti la scuola, si legge, presentino la documentazione attestante i loro redditi in Italia, ma anche “i redditi e i beni mobili o immobili registrati disciplinati dall’articolo 816 del Codice Civile, eventualmente posseduti all’estero e non dichiarati in Italia”.
“Spero nella sensibilità degli amministratori locali”, ha commentato il ministro quando è stato richiesto di una sua valutazione, “spero trovino in fretta una soluzione non mettendo in difficoltà questi ragazzi”. Ancora più esplicito: “Non bisogna mai strumentalizzare i bambini per fini particolari”.
Le guerre ricordate e quelle dimenticate
Certo, il sindaco leghista di Lodi, Sara Casanova, e l’assessore alle politiche sociali, Suellen Belloni, hanno previsto anche che siano esentati dalla presentazione della documentazione i rifugiati politici e i profughi provenienti da Libia, Yemen, Afghanistan e Siria. Lì notoriamente c’è la guerra. La casistica delle eccezioni però si ferma qui. Gli altri si arrangino, anche se l’Africa è la culla delle guerre non dichiarate ed endemiche, per non parlare di quelle dimenticate e delle reali condizioni in cui operano i locali uffici statali. Quelli a cui bisognerebbe spiegare l’esistenza dell’articolo 816 del codice civile italiano.
Qualcuno è partito, pieno di buona volontà, per il natio Bangladesh, ma è tornato dovendo ammettere che certi documenti semplicemente non esistono.
Uno su cinquanta ce la fa
Non è un caso che le richieste di accesso ai servizi del comune siano state falcidiate. Le cifre parlano chiaro: alla fine di settembre le domande presentate erano 94. Quelle accettate quattro. Ad ora le richieste sono salite a 259, le approvazioni a cinque. Nel frattempo il regolamento viene difeso dal sindaco Casanova: “Voglio tranquillizzare tutti i cittadini – davvero tantissimi – che mi sostengono e mi hanno espresso la loro vicinanza. Non si preoccupino, non intendo arretrare di un passo”.
Ugualmente Sueellen Belloni precisa: “Si tratta di un gesto politico, dovuto a chi ci ha votato e a cui abbiamo assicurato che prima sarebbero venuti gli italiani”.
Gli altri 409 rimasti senza aiuto
Chi non ce l’ha fatta, o non ce la farà, ha davanti prospettive poco allegre. Mediamente si tratta di persone prive di un reddito alto. Nonostante questo saranno costretti, per accedere ai servizi, a pagare come se appartenessero alla fascia dei più abbienti. Vale a dire: circa 6 euro al giorno per la mensa, 570 per l’asilo nido. Sommate, queste due voci da sole danno quasi 700 euro al mese. Per qualcuno è uno stipendio intero o ci manda molto poco.
Il quadruplo di quanto non avrebbero diritto a pagare se rientrassero nella graduatoria.
In più c’è da considerare che da qualche giorno i bambini nelle scuole di Lodi, all’ora di pranzo, si trovano ad essere divisi in due stanze diverse: da una parte la mensa, dall’altra chi si deve portare un panino da casa.
Non il massimo per una scuola che, secondo un‘altra norma (costituzionale) avrebbe tutt’altro scopo: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Articolo 34. Non è del codice civile, ma è quello a cui probabilmente pensava il ministro Bussetti.