È entrato in vigore il decreto che adegua la nostra normativa al "regolamento europeo di protezione dei dati personali", un decreto che in particolare riguarda il consenso digitale. I singoli Stati però sono stati lasciati liberi di decidere la soglia di età sopra il quale una persona è libera di gestire la propria privacy online, di fatto, ormai, legalmente la propria seconda vita sul web. L’Europa ha consigliato 16 anni. Lo scorso 8 agosto il governo ha deciso di abbassare la soglia ai 14.
Garanti in disaccordo
Sulla questione sono intervenuti due Garanti, quello della privacy, Antonello Soro e quello dell’Infanzia, Filomena Albano; il primo si è detto favorevole dichiarando a Repubblica: “Quella dei 14 anni è più o meno l’età scelta anche dagli altri Stati europei. È una scelta realistica perché prende atto dell’esperienza digitale maturata dai nostri ragazzi. E, per altro verso, obbliga i gestori dei social network ad una maggiore responsabilizzazione nella diffusione dei contenuti online”; la seconda non ha fatto i salti di gioia rispondendo: “Aver abbassato l’età in cui i minori possono esprimere senza l’approvazione dei genitori il loro consenso digitale è stato un errore. Su questo tema abbiamo fatto moltissime audizioni con esperti e specialisti, abbiamo istituto anche una consulta di ragazzi. Il parere comune è che sarebbe stato giusto fissare l’età a 16 anni secondo la decisione dell’Europa, per non gravare i giovanissimi di una responsabilità che non compete loro. Un adolescente – continua la Albano – per iscriversi in palestra necessita del consenso dei genitori per il trattamento dei dati personali, mentre nel ben più complesso universo dei dati online può prescinderne».
Un sondaggio
Un sondaggio, che la stessa Garante dell’Infanzia ha svolto offline tra i ragazzi che compongono la consulta dell’Authority, avrebbe svelato che i giovani di cosa sia un dato personale non ne hanno la ben che minima idea. “Per questo - prosegue - ho scritto una lettera al premier Conte chiedendo che l’abbassamento del consenso sia compensato da programmi di educazione digitale”. Una iniziativa senz’altro giudiziosa ma che non risolve il vero problema, cioè che questo consenso, effettivamente, non cambia di una virgola la vita online degli adolescenti sopra o sotto la soglia decisa dal governo italiano o quello europeo. Adolescenti che senza alcun riguardo affidano i propri dati, spesso più che personali, praticamente intimi, al web senza batter ciglio.
Anche Facebook, Instagram e WhatsApp, programmi utilizzati comunemente anche da chi i 14 anni ancora li guarda col binocolo, sarebbero permessi solo a chi ha già compiuto i 13 anni, ma nessuno si è mai posto il problema. Sempre a Repubblica Guido Scorza, avvocato e docente di diritto delle nuove tecnologie, conferma infatti “che accesso e trattamento dei dati sui social network sono di fatto la stessa cosa, visto che spesso l’iscrizione è subordinata al consenso sul trattamento”.
Il dibattito più serio che si apre, o perlomeno sarebbe corretto si aprisse, è quello sullo sfruttamento dei dati da parte delle grandi aziende, quello che in molti ormai chiamano “il nuovo petrolio”. Sarebbe opportuno magari spiegare ai ragazzi che si, i social network rappresentano una fetta della loro vita difficilmente accantonabile, ma che ogni singolo like concesso a questo o a quello per qualcuno si trasforma in informazioni utili che poi diventano denaro.
Non cambierà nulla, di nuovo, nell’utilizzo che faranno della rete, ma perlomeno saranno un po' più coscienti di quali possono essere le conseguenze di passeggiare su una spiaggia dove non arrivano onde a cancellare le loro tracce. Più ottimista, sempre chiamato in causa da Repubblica, Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta, direttore del primo centro sulla dipendenza da Internet: “Ho fiducia nei giovani, sanno come difendersi sul web molto meglio di noi adulti. Lo vedo sia come medico che come padre, nel rapporto con le mie figlie. Questa generazione ha un profilo cognitivo diverso dal nostro, sarebbe ora che la società se ne rendesse conto. Ma davvero credo sul consenso digitale i ragazzi sappiano bene come cavarsela da soli”.