La prima traccia di inquinamento è un microscopico granello di carbone, talmente piccolo che per scorgerlo imprigionato nella sua tomba di ghiaccio ci vuole un microscopio da scienziati. Tondo come una sfera, nero corvino: proclama l’avvento della Rivoluzione Industriale, che a partire dalla fine del Settecento lanciò il primo mito del progresso, arrembante sui binari delle ferrovie.
Quota 4.500
Oggi quel progenitore delle polveri sottili, meno evoluto ma altrettanto potenzialmente pericoloso, giace in mezzo al bianco dei ghiacciai alpini, dove solo un occhio esperto e amorevole lo può scorgere, in mezzo alle trasparenze della luce a 4.500 metri sul livello del mare.
Ha scalato letteralmente le più alte montagne d’Europa, partendo da chissà quale fumoso opificio svizzero o tedesco, per lasciarsi adagiare dal vento sulla cima del Monte Rosa, dove è rimasto lì ad attendere che qualcuno lo recuperasse, per raccontargli la sua storia.
Il più antico database del mondo
Storia che poi è la stessa di miliardi di particelle, grani di polline, residui organici e non che raccontano, letteralmente, la storia dell’umanità fin dai primi vagiti del Sapiens sapiens. Quando Oetzi, dall’altra parte dell’Arco alpino, trovava una morte mai chiarita divenendo letteralmente il primo cold case del Pianeta, sul Monte Rosa era già iniziata da tempo la prima raccolta di un database che solo ora, noi uomini del XXI Secolo, ci accorgiamo di avere.
Solo che rischiamo di perderlo subito.
La verità di ghiaccio
L’idea, racconta adesso il New York Times, è stata elaborata e realizzata da sei studiosi che, nel 2015, hanno fatto un’osservazione apparentemente elementare. Si sono chiesti se non fosse il caso, dopo anni passati dalla comunità scientifica internazionale a carotare i ghiacci perenni dei Poli, di provare a fare lo stesso con i ghiacciai. In fondo i Poli sono sempre stati lontani dai mari caldi attorni ai quali si è sviluppata, nei millenni, la civiltà.
I giacchiai europei, invece, sono sempre stati lì, in mezzo ai popoli che nel bene e nel male hanno scritto tutto quello che c’era da scrivere sul Grande Libro della Storia dai tempi di Roma in poi. Ma anche da prima.
Diecimila anni congelati
Quindi – conclusione logica e pratica del ragionamento – hanno preso l’elicottero e partendo da Zermatt sono atterrati in mezzo al Colle Gnifetti, dove il Monte Rosa raggiunge una delle sue altezze più vertiginose.
Sono rimasti diversi giorni nel freddo, poi sono ripartiti e tornati, ed ogni volta hanno riportato a valle colonnine di ghiaccio trasparenti come il cristallo. Ma è solo un’illusione ottica: in quel cristallo ci sono milioni di particelle più o meno spurie che sono altrettante prove di quello che è successo in Europa, e non solo, per lo meno dall’8.000 avanti Cristo.
Pagine bianche
Il ghiaccio del Colle Gnifetti, infatti, è spesso all’incirca 120 metri, ed intrappola tutto quello che i turbini del vento hanno trasportato fin lassù dalla fine dell’ultima glaciazione, quando le valli ripresero a fiorire e gli uomini a coltivare la terra che iniziava ad ammorbidirsi. In altre parole: tutto quello che è accaduto in una delle parti più vive e centrali del Pianeta. E infatti ora, tra uno strato e l’altro di ghiaccio, si legge tutto: le prime coltivazioni di frumento, i periodi dei campi lasciati a maggese, i segni dell’ingombrante presenza dell’uomo nel suo stesso habitat.
Un libro aperto, che parla anche con le sue pagine bianche. Come in quello strato, datato secondo gli esperti che hanno presentato le loro conclusioni in un congresso in Svizzera, tra il 1310 ed il 1360. Anni calamitosi, che non hanno lasciato praticamente traccia: prima perché la Grande Carestia eliminò, provocata com’era da un’ondata di piogge bibliche, ogni forma di agricoltura. Poi perché fu il turno della Peste nera, che in Europa uccise metà della popolazione lasciando le terre disabitate e le città preda dei lupi e delle fiere. Le fertili valli europee non producevano più nulla, e nulla arrivava con il vento sulle cime dei monti.
Quando sulla Manica crescevano le viti
Emergono, comunque, anche delle notizie che dovrebbero essere rassicuranti, come la conferma che sempre nel Medioevo, a ridosso dell’Anno Mille, in Europa faceva così caldo che in Gran Bretagna crescevano le viti. Molto più caldo di ora, insomma, e quindi almeno per il momento non c’è poi tanto da preoccuparsi se l’estate battiamo regolarmente i record delle temperature più alte mai registrate.
Ma si tratta di una rassicurazione molto superficiale, perché gli stessi scienziati specializzati nel carotaggio del Colle Gnifetti ci tengono a precisare che, se non altro, il riscaldamento attuale rende il loro compito più difficile.
Prove inquinate
Perché il caldo fa sciogliere magari anche solo il ghiaccio più recente, e l’acqua si fa ad infilare nelle fessure dei crepacci e contamina letteralmente i dati imprigionati nei livelli più bassi, creando una melassa di spore e pollini che, ad andare avanti così, tra poco non sarà più utilizzabile. E allora addio ricerca, conclusioni inappellabili e scoperte scientifiche. Per tutto l’Arco Alpino. E persino l’assassino di Oetzi finirà per farla franca, facendo sparire le tracce tra i ciottoli di un torrente. Sarebbe un vero peccato.