Secondo una ricerca pubblicata in questi giorni sulla rivista scientifica PlosOne dal titolo “Production of methane and ethylene from plastic in the environment” la plastica più comune che usiamo (e gettiamo) sotto forma di sacchetti, ma anche alcuni giocattoli, tappi, pellicole alimentari o flaconi per detersivi e alimentari, una volta rilasciata nell’ambiente libera sotto l’azione del sole, e soprattutto dell’aria, metano e etilene. La situazione peggiore se l’irradiamento solare avviene in ambiente asciutto: la produzione di etilene è 76 volte maggiore che non in ambiente acquatico. Tuttavia in acqua, dopo un periodo di almeno 150 giorni, la plastica produce anche idrocarburi gassosi. Tutti danni all’ambiente che si aggiungono a quelli già noti sulle materie plastiche gettate in mare, capaci di aggregare e trasportare numerose altre sostanze tossiche (metalli pesanti, pesticidi, etc.) oltre a quelle tipiche della plastica.
Lo rende noto il WWF in una nota. “Si aggiunge così un altro tassello alla lunga lista degli impatti sull’ambiente provocati da questo vero e proprio “highlander” dei mari, un motivo in più per combattere il rilascio di plastica in ambiente e trasformare il nostro stile di vita in un quotidiano “plastic free style”. La plastica rappresenta il 95% dei rifiuti del mare e ha dei primati incredibili di ‘resistenza’ nell’ambiente marino: un bicchiere resta in mare fino a 20 anni, una busta fino a 50 mentre un filo da pesca può durare fino a 600 anni. L’Italia ha vietato l’utilizzo di shopper di plastica per la spesa dal primo gennaio 2011, dall’inizio del 2018 ha vietato l’uso di sacchetti di plastica per gli alimenti, dal primo gennaio 2019 sarà vietato l’uso di cotton fioc non biodegradabili e dal primo gennaio 2020 l’uso di microplastiche nei cosmetici”
Il problema del marine litter, cioè dei rifiuti marini, è globale e quanto mai grave. Per ogni minuto che passa, l'equivalente di un camion di rifiuti finisce in mare. Quello che resta visibile agli occhi, sulle spiagge e sulla superficie del mare, è pari solo al 15% della mole di rifiuti che giacciono sul fondo del mare. Senza contare i danni economici che il fenomeno del marine litter provoca al comparto produttivo del settore pesca. Secondo uno studio commissionato dall'Unione Europea, l'impatto economico per la pesca è stimato intorno ai 61,7 milioni di euro all'anno, risultando il secondo settore più danneggiato dai rifiuti marini dopo quello del turismo. Un dato che potrebbe subire un calo solo attraverso la prevenzione del rifiuto, la raccolta, il riciclo e la sperimentazione di nuovi materiali.
"Bandiamo l'usa e getta, la plastica che si trova nel territorio e poi finisce in mare. E poi troviamo degli alleati, come i pescatori. Il 50% del pescato delle reti è plastica, non possono ributtarla in mare pur non essendo trasportatori di rifiuti. Cambiamo la norma, si alleano con noi, lo vogliono fare e la porteranno nelle isole ecologiche disposte nei porti". Lo ha detto il ministro dell'Ambiente Sergio Costa.