Non può essere contestata l'aggravante di "aver commesso il fatto con l'uso di sostanze alcoliche" a chi viene condannato per violenza sessuale di gruppo, nel caso in cui la vittima del reato abbia consumato consapevolmente alcool in eccesso. Lo si evince da una sentenza con cui la terza sezione penale della Cassazione, pur confermando la responsabilità di due imputati condannati a 3 anni di reclusione dalla Corte d'appello di Torino per violenza sessuale su una donna avvenuta nel 2009, ha annullato con rinvio la pronuncia dei giudici di secondo grado sul punto della contestata aggravante.
"Integra il reato di violenza sessuale di gruppo - si legge nella sentenza depositata ieri - con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall'assunzione di bevande alcooliche, essendo l'aggressione all'altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcool e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all'assunzione delle dette sostanze".
In un tale quadro, però, aggiungono i giudici di piazza Cavour, "si deve rilevare che l'assunzione volontaria dell'alcool esclude la sussistenza dell'aggravante, poiché la norma prevede l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti (o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa)": l'uso delle sostanze alcoliche, spiega la Cassazione, "deve essere quindi necessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l'alcool per la violenza, somministrandolo alla vittima; invece - conclude la Corte - l'uso volontario, incide si', come visto, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell'aggravante".
Le reazioni della politica
"Sul corpo e sulla vita delle donne la cultura, soprattutto quella giuridica, non avanza di un passo, anzi. La sentenza della Cassazione ci porta in dietro di decenni". Lo afferma Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati del Partito Democratico, in merito alla sentenza 32462 della terza sezione penale. "Era il 1999 quando i giudici della Corte di Cassazione sentenziavano che se la vittima porta i jeans non può essere stupro, poi nel 2006 riconoscevano le attenuanti per la 'minore gravità del fatto' perché la ragazza di 14 anni violentata dal patrigno non era più 'illibata'. Oggi come allora - sottolinea la deputata Dem - si trovano attenuanti, come l'aver bevuto volontariamente, a un reato tanto odioso quanto grave. È una sentenza che rischia di vanificare anni di battaglie".
"Lascia sconcertati la decisione della Cassazione di negare l'aggravante nel caso in cui la vittima di uno stupro abbia abusato di alcool. Far passare anche solo lontanamente l'idea che approfittare della mancanza di pieno autocontrollo da parte di una donna non sia un comportamento da punire in maniera ancora pià dura è un passo indietro nella cultura del rispetto e nella punizione di un gesto ignobile e gravissimo quale è lo stupro" afferma invece la deputata e leader di Forza Italia Giovani Annagrazia Calabria.