Hanno presentato per iscritto a Papa Francesco le proprie dimissioni. I 34 vescovi cileni (31 in servizio e 3 emeriti) cercano di riparare allo scandalo pedofilia che ha travolto il Paese sudamericano. Ora sarà il Pontefice a decidere (ha già annunciato rimozioni). È un vero e proprio terremoto per la Chiesa cilena. Il mea culpa dei vescovi e l'ovvio passo indietro - anche se non risulta che in passato sia mai accaduta una cosa del genere - arriva al termine del vertice straordinario a porte chiuse voluto in Vaticano da Papa Francesco.
In una dichiarazione letta ai giornalisti da monsignor Fernando Ramos, segretario generale della Conferenza episcopale cilena e da monsignor Juan Ignacio Gonzales, vescovo di San Bernardo, i presuli chiedono "perdono per il dolore causato alle vittime, al Papa, al popolo di Dio" e al Cile per "i gravi errori e omissioni" da loro commessi. I vescovi ringraziano anche le vittime "per la loro perseveranza e il loro coraggio nonostante le enormi difficoltà personali, spirituali, sociali e famigliari che hanno dovuto affrontare unite spesso alle incomprensioni e agli attacchi della stessa comunità ecclesiale".
"Ancora una volta - scrivono - imploriamo il loro perdono e aiuto per continuare ad avanzare sul cammino della guarigione per cicatrizzare le ferite affinchè possano rimarginarsi".
Infine, i vescovi sottolineano il "dialogo onesto" nei giorni del vertice in Vaticano, che rappresenta "una pietra miliare di un profondo cammino di cambiamento guidato da Papa Francesco". Lo scandalo che ha devastato la credibilità della Chiesa cilena parte dalla figura carismatica del sacerdote Fernando Karadima, oggi ultra ottantenne, responsabile della parrocchia El Bosque di Santiago, condannato nel 2011 dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede per abusi sessuali sui minori. Alcune vittime di Karadima però accusano il clero di aver coperto e insabbiato gli abusi per anni. Puntano il dito contro monsignor Juan Barros, nominato vescovo da Papa Francesco e uno dei più stretti collaboratori di Karadima.
E anche il Pontefice viene contestato durante la sua visita in Cile, soprattutto dopo che difende Barros, affermando che occorrono "prove" o "evidenze" per accusare qualcuno. Ma di ritorno dal paese sudamericano, Francesco cambia idea e invia sul posto Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e presidente del Collegio per l'esame di ricorsi in materia di delicta graviora alla Sessione Ordinaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, per ascoltare le vittime e raccogliere un dossier sulla dolorosa vicenda.
Dopo il report di monsignor Scicluna (2.300 pagine in cui sono raccolte 64 testimonianze) Bergoglio chiede scusa alle vittime e in una lettera ai vescovi cileni riconosce i "gravi errori di valutazione e percezione". Non solo: invita in Vaticano, a Casa Santa Marta, a fine aprile, tre vittime di Karadima (Josè Andres Murillo, Juan Carlos Cruz e James Hamilton) per chiedere loro perdono.
Nello scandalo sono coinvolti anche altri tre vescovi e due cardinali cileni, l'arcivescovo di Santiago Riccardo Ezzati Andrello e il suo predecessore Francisco Javier Errazuriz Ossa, nominato nel Consiglio dei Cardinali, il cosiddetto "C9" che aiuta Francesco nella riforma della Curia romana. E proprio il cardinale Errazuriz Ossa è accusato di essere uno dei responsabili della "mancanza di informazione veritiera ed equilibrata" denunciata dal Papa.
Nella missiva inoltre il pontefice chiama in Vaticano i vescovi cileni per collaborare "nel discernimento delle misure che nel breve, medio e lungo termine - scriveva - dovranno essere adottate per ristabilire la comunione ecclesiale in Cile, con l'obiettivo di riparare il più possibile lo scandalo e ripristinare la giustizia". Il telegiornale della televisione cilena Antena 13, T13, oggi pubblica la meditazione riservata che il Papa aveva consegnato martedì sera ai vescovi.
Dieci pagine, nelle quali il Pontefice parla di "gravi indizi" e critica il modo in cui sono state condotte le indagini sugli abusi: le denunce ricevute "sono state qualificate come inverosimili", le inchieste "non sono state realizzate e si sono verificate negligenze nella protezione dei bambini" da parte dei vescovi e dei superiori religiosi.
C'è stata anche la "distruzione dei documenti", denuncia il Papa e pressioni su coloro che dovevano fare i processi. Inoltre si sottolinea che alcuni religiosi, espulsi dai loro rispettivi ordini per gli abusi commessi, sono stati accolti da altre diocesi e hanno ricevuto incarichi che li hanno portati a contatto con bambini e ragazzi e vescovi e superiori religiosi hanno affidato la guida dei seminari a sacerdoti sospettati di praticare l'omosessualità. Il problema, scrive il Papa, non si risolve "solo con la rimozione di persone, che pure bisogna fare", ma "non è sufficiente".
Occorre "andare alla radice" di una crisi "di sistema". Nel documento Bergoglio sottolinea che la Chiesa cilena "è stata assorbita in modo tale che le conseguenze di tutto questo processo hanno avuto un prezzo molto alto: il suo peccato è diventato il centro dell'attenzione. La dolorosa e vergognosa constatazione di abusi sessuali su minori, abusi di potere e coscienza da parte dei ministri della Chiesa, così come il modo in cui sono state affrontate queste situazioni, mostra questo cambiamento di centro". "Mai - continua il Papa - un individuo o un gruppo illuminato può pretendere di essere la totalità del Popolo di Dio e ancor meno credere di essere la voce autentica della sua interpretazione".
E ora le dimissioni "in blocco" dei vescovi. La prossima settimana si aspettano le decisioni di Francesco. Su Twitter le vittime di Karadima hanno commentato la scelta dei vescovi. "Per dignità, giustizia e verità: lasciano tutti i vescovi. Delinquenti. Non hanno saputo proteggere i più deboli, li hanno esposti agli abusi e invece hanno impedito la giustizia. Per questo, meritano semplicemente di andarsene", ha scritto Josè Andres Murillo. "I vescovi cileni hanno rinunciato TUTTI. È inedito ed è un bene. Questo cambia le cose per sempre", ha scritto invece Juan Carlos Cruz.