La ricostruzione "lacunosa" della dinamica della strage di via Fani di 40 anni fa e il mistero dei covi in cui è stato segregato Aldo Moro durante i 55 giorni di prigionia, dal 16 marzo al 9 maggio 1978, quando fu trovato nel bagagliaio della R4 il cadavere dello statista della Democrazia Cristiana. Sono alcuni tra i capitoli d'inchiesta che la Procura di Roma potrebbe tornare ad approfondire dopo aver ricevuto nelle scorse settimane il lavoro conclusivo effettuato dalla Commissione Moro. L'organismo parlamentare, parlando dell'agguato in cui fu sterminata la scorta dell'allora presidente Dc, è convinto che quanto accaduto in via Fani vada riesaminato "anche alla luce degli accertamenti sul bar Olivetti" coinvolto "in dinamiche criminali 'ndranghetiste e di traffico di armi", e tenuto conto dei "contatti con la malavita settentrionale e romana".
Quanti erano i covi?
C'è poi la questione dei covi: quello di via Montalcini al civico 8 potrebbe non essere stato l'unico. È probabile che ce ne fosse un altro, non conosciuto, in zona Eur da utilizzare come base di riserva rispetto all'appartamento al Portuense preso in affitto dalla brigatista rossa Anna Laura Braghetti. Per non parlare della possibile esistenza di un altro alloggio, in zona Balduina, non troppo distante da via Fani. Non a caso l'attenzione della Commissione, guidata dal presidente Giuseppe Fioroni, si era soffermata su via Licinio Calvo dove, poco dopo l'agguato, vennero trovate le tre auto usate dalle Br per uccidere i cinque agenti della scorta (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrare l'esponente politico.
Agli atti c'è un appunto del 17 marzo 1978 in base al quale una fonte della Finanza segnalava che Moro era nascosto nella zona Balduina-Trionfale-Boccea-Cassia e comunque in un'area a circa due chilometri da via Fani. Le ricerche investigative non sono state però in grado di confortare questa 'soffiata'. "Altrettanto significativa", per la Commissione, è l'individuazione, sempre a Balduina, di un complesso, di proprietà dello Ior, che avrebbe ospitato nella seconda metà del 1978 Prospero Gallinari e che - si legge nella relazione conclusiva - era caratterizzato dalla presenza di prelati, società statunitensi, esponenti tedeschi dell'autonomia, finanzieri libici e di due persone contigue alle Brigate rosse. "Complesso che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista". Sarà dunque la Procura a valutare se effettivamente a tanti anni di distanza "permanga ancora una mancanza di verità", come sostiene la Commissione.
I fascicoli ancora aperti
A piazzale Clodio, altri segmenti d'indagine sono aperti da tempo anche se appare difficile attendersi clamorosi colpi di scena. C'è il fascicolo nato a seguito delle dichiarazioni rese nel 2016 nel carcere di Parma dall'ex boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo che ai pm romani rivelò che avrebbe potuto salvare Moro se un contrordine proveniente da Roma non avesse fatto saltare il progetto. E c'è quello che chiama in causa Steve Pieczenik, lo psichiatra americano esperto di terrorismo che durante i 55 giorni di prigionia di Moro faceva parte di un Comitato di Crisi creato dall'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga. Pieczenik, in un libro, raccontò di aver portato avanti un piano di 'manipolazione strategica' perché si arrivasse all'uccisione dell'esponente Dc, unico modo per garantire in Italia la stabilità della situazione politica. Questa versione, però è stata in buona parte ritrattata quando l'ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e' stato sentito dai magistrati italiani.