Michele Serra parte al contrattacco. Dopo l'ondata di polemiche che ha travolto la sua 'Amaca' che il 20 aprile ha dedicato all'episodio di bullismo da parte di uno studente su un professore di Lucca e agli altri emersi in questi giorni, l'editorialista di Repubblica torna sul tema con un lungo intervento in cui risponde a haters, detrattori e polemisti. Per rivendicare le sue radici di sinistra e mettere in chiaro cosa intendeva dire. Ma soprattutto per "non replicare" a chi gli ha dato addosso.
Ma per capire perchè si parli tanto di questa polemica, occorre andare per ordine.
Come tutto è cominciato
Il 20 aprile Serra pubblica il suo intervento che solleva un vespaio di reazioni che coinvolge firme sulla carta stampata e lettori sui social. A scatenare la polemica è una frase:
Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza.
In pochissimi si dicono d'accordo con l'editorialista e autore del best seller 'Gli Sdraiati', ma c'è chi sottolinea che la chiave per comprendere le sue parole è in un altro passaggio, in cui denuncia "la struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società".
Ecco alcune prese di posizione sulle parole di Serra:
"Ma la domanda che pone l’Amaca di Serra è diversa: sono davvero “brutti sporchi e cattivi” i responsabili della crisi, della goliardia, della messa in scena della violenza rituale dell’umiliazione dei professori? Sono davvero così perché figli di genitori ignoranti e marginali? Io non lo credo affatto. Ho visto piuttosto molti padri e madri eccellenti difendere cause indifendibili, un anno fa discutevano di una così di bullismo atroce in una scuola bene di Milano, senza che nessuno pensasse di fare sociologia. La demenza e la stupidità - come direbbe Carlo Cipolla - sono malattie assolutamente trasversali".
Luca Telese - Tiscali
Forse ciò che invece dimostra l’articolo di Serra è che le vicende di Lucca de te fabula narratur: della incapacità, cioè, degli adulti, dei vecchi, della classe dirigente, degli educati e dei capaci, del ceto medio riflessivo, di guidare i giovani, il popolo, le masse, verso le magnifiche sorti e progressive di cui essi sono i (self-appointed) cantori. E allora l’inganno non è nell’aver convinto le persone chesiamo tutti uguali, l’inganno consiste nell’aver detto che quelle sorti non solo erano vere, ma che erano a portata di mano di tutti. E se il populismo, come lo chiama Serra con orrore, dilaga, è per la consapevolezza dell’irraggiungibilità dei livelli di benessere, ricchezza, disponibilità, possibilità di prendere l’ascensore sociale dei genitori.
Francescomaria Tedesco, filosofo del diritto e della politica - Il Fatto Quotidiano
No, non sono le condizioni che determinano come sono i ragazzi. Pensiamo all’acqua calda: ammorbidisce la patata ma indurisce l’uovo. Quello che importa è cosa hai dentro, in cosa consisti, di cosa sei fatto. Il degrado economico non produce disagio. È il degrado valoriare che lo produce. I giovani hanno bisogno di fare esperienze educative. Servono adulti significativi, credibili, appassionati e coerenti. Allora i ragazzi seguono e sono in grado di stupire.
Simone Feder, coordinatore Casa del Giovane di Pavia e giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano - Vita
La risposta di Serra
Nell'Amaca di domenica 22 aprile, Serra torna con un intervento molto più corposo per mettere in chiaro alcune cose. Ecco cosa scrive:
Di cosa ha scritto
"Ho attribuito alla 'struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società' il maggiore tasso di aggressività e di indisciplina che si registra (stando alle cronache) nelle scuole tecnico-professionali e nelle medie inferiori rispetto ai licei, frequentati quasi solo 'dai figli di quelli che hanno fatto il liceo'. Mi interessava dire del macro-fenomeno, e in buona sostanza, non citandolo, di ripetere l’antica lezione di don Milani sulla “scuola di classe”.
La 'non replica'
"Fino a che sono i social a chiamarmi in causa, sono costretto a replicare che non posso replicare. Non certo per alterigia, ma per una ragione oggettiva sulla quale sarebbe importantissimo, e liberatorio, che tutti riflettessimo, dal prestigioso intellettuale allo hater seriale: la moltitudine dei commenti (non tutti, ovviamente) NON riguarda quello che ho scritto, riguarda la sua eco, i commenti ai commenti, voci relate, fonti in brevissimo tempo vaghe e remote. Il testo quasi non vale più. Quasi nessuno lo legge fino in fondo e lo analizza. Vale il caotico, per certi versi mostruoso contesto del “chattismo” compulsivo, così compulsivo che perde il filo del discorso già in partenza.
La risposta a Telese
"Molto più rilevante è che l’accusa di “classismo” mi arrivi da un giornalista, Luca Telese, che conosce a fondo la storia della sinistra italiana. Se Telese considera “classista” che qualcuno indichi la differenza di classe e l’ignoranza come cause, o perlomeno concause, della violenza e della devianza sociale, allora significa che davvero il paradigma è totalmente ribaltato. È diventato “contro il popolo” ciò che a quelli come me, lungo una intera vita, è sempre sembrato il più potente argomento “a favore del popolo”: denunciarne la subalternità economica e culturale, dire il prezzo che paga, il popolo, alla sua mancanza di mezzi materiali (i quattrini) e immateriali (la conoscenza, l’educazione).
Quello che al popolo non si dice
"La contraffazione oramai è perfetta: non dire mai che il popolo 'sta sotto', non dire che è messo male, non dire che ha meno e che sa di meno, non dire che ieri era carne da cannone e oggi carne da pubblicità, non dire che al popolo cinquant’anni fa si dava in prima serata l’Odissea di Franco Rossi e oggi gli si danno filmacci americani con sparatoria e squartamento, perché vuol dire che lo consideri inferiore…
Lo sdoganamento dell'ignoranza
"Lo sdoganamento dell’ignoranza è uno dei più atroci inganni perpetuati ai danni del popolo, e io penso (e lo scrivo da decenni) che faccia perfettamente parte dello sdoganamento dell’ignoranza l’idea che sia “classista” indicare con il dito proprio la luna: ovvero la differenza di classe. È quello che ho cercato di fare in quella famigerata Amaca; nel caso non mi fossi spiegato a sufficienza, spero di averlo fatto meglio adesso".