“Cosa suona meglio? Principi o protocolli? Certe tutele valgono per i giornalisti, perché non per i fixers?”. Per Bobby Ghosh, editorialista per CNN e MSBC e primo immigrato a ricoprire la carica di World editor del Time Magazine, la sicurezza di chi assiste i giornalisti sul campo è un tema che deve diventare centrale. I fixer appunto - o “risolutori” in italiano -, quindi quelle persone che negli scenari di guerra come nelle inchieste di mafia, assistono i giornalisti che si muovono sul campo. E a loro è stato dedicato uno degli eventi del Festival internazionale del giornalismo, al quale hanno partecipato la corrispondente per il Times dallo Yemen Iona Craig, Vishal Manve di France Presse Rajesh Prabhakar, fixer che ha collaborato con National Geographic e Bbc.
Conoscono la lingua, gli usi locali, i personaggi chiave. E il loro è un ruolo da dietro le quinte, ma non per questo meno pericoloso. Ma i fixer creano un rapporto umano intenso con il giornalista che affiancano: “Non voglio essere melodrammatico, ma non sono solo persone con le quali hai lavorato - ha detto Ghosh ad Agi -. Siete stati in trincea insieme, avete condiviso di più. Questo vale davvero sul campo”. Il giornalista indiano, che è stato anche direttore dell’Hindustan Times, ha ricoperto a lungo il ruolo di caporedattore negli uffici del Time a Baghdad: “I fixer corrono rischi enormi, e anche le loro famiglie. Per questo è necessario che le testate e gli editori si assumano la responsabilità di fornire loro gli strumenti per essere più sicuri”.
“La cosa simpatica - spiega Ghosh - è che le risposte ai problemi dei fixer iniziano tutte con la lettera ‘r’: rights, responsibilities, rules, rewards”. Non esiste un sistema di ricompense strutturato per i fixer, eppure sono in prima linea affianco al giornalista, ha evidenziato Ghosh. “Durante il nostro evento abbiamo discusso e tirato fuori proposte e idee: potremmo chiamarlo ‘Il manifesto di Perugia’, a patto che esca da qui e vada a influenzare in positivo la vita di chi sceglie questo mestiere”.