Il bottone rosso contro le fake news, il servizio della Polizia Postale che consente agli utenti di segnalare presunte notizie false che circolano online, fa discutere. Nel dibattito sull’utilità di questo nuovo team di lavoro è intervenuto anche Guido Scorza, avvocato esperto in materia di diritto delle nuove tecnologie e membro del Team Digitale del Consiglio dei Ministri.
Scorza parla di “rischio di abusi e derive”, perché l’ente giudicante non è un’autorità indipendente – come un normale giudice nei tribunali – quanto piuttosto un organo di Governo.
Non è tutto rose e fiori
A lavorare sulle fake news è un gruppo di esperti del Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche, cioè la struttura della Polizia di Stato incaricata di prevenire e reprimere i crimini informatici. Scorza ha pubblicato un decalogo di “principi per scongiurare il rischio che la cura sia peggiore del male che si intenderebbe curare”, a cominciare dal rendere pubblico il Protocollo Operativo. Al momento non sono infatti note regole certe e il quadro operativo all’interno del quale si muove la Polizia Postale al momento di lavorare sulle segnalazioni degli utenti. Manca insomma l’indicazione concreta di come si procederà a stabilire se una notizia è vera o falsa.
L’avvocato insiste anche sulla natura temporanea del provvedimento: annunciata dal ministro dell’Interno Marco Minniti come un “servizio pubblico senza alcuna idea di entrare nel dibattito politico”, la task force si concentrerà nel tenere a freno il diffondersi di notizie false durante la fase di campagna elettorale. A tal proposito Scorza sottolinea l’importanza che il progetto si concluda davvero nel giro di un mese e mezzo, cioè appena dopo il voto del prossimo 4 marzo.
Forma e contenuto
A preoccupare è anche la capacità di circoscrivere il concetto di fake news: Scorza suggerisce innanzitutto di limitare l’analisi alla notizie politiche, e poi rimarca la profonda differenza che vi è tra “il contenuto di una notizia e il contenuto di una dichiarazione cui fa riferimento la notizia”. Un politico che riporta un dato sbagliato, per esempio, deve essere oggetto di factcheking da parte del giornalismo, mentre la notizia – falsa – che qualcuno abbia detto o fatto qualcosa che in realtà non è mai avvenuto è una notizia falsa a tutti gli effetti. Un esempio noto a tutti, quello sulla sorella di Laura Boldrini.
Guardie e ladri della verità sul web
“Non coinvolgere l’autore della notizia nel procedimento di verifica dell’attendibilità è una mancanza grave”, attacca Scorza. Ma anche impedire la segnalazione di presunte fake news in forma anonima rappresenta un problema. Il nuovo portale richiede obbligatoriamente di fornire alla Polizia l’indirizzo email del segnalante, qualcosa che “non è corretto sotto il profilo della disciplina in materia di trattamento di dati personali”.
Scorza suggerisce un altro paio di accorgimenti: in primo luogo la possibilità, da parte del team anti fake news, di inoltrare i casi alle Autorità competenti che “dispongono di poteri che consentono interventi urgenti e cautelari”. Figure cioè come il Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità Garante per le Comunicazioni, l’Autorità per la concorrenza e il mercato. E poi la capacità di fare marcia indietro: rivedere le proprie decisioni nel caso in cui si dimostrino errate. Al momento, nel Protocollo di presentazione, non si fa cenno ad alcun sistema di revisione delle decisioni della Polizia. L’autore della fake news, in altre parole, non può difendersi e dimostrare la veridicità di quanto scritto.