Il primo gennaio del 2018 è entrato in vigore l’obbligo per gli italiani di usare esclusivamente sacchetti biodegradabili per pesare le merci sfuse nei supermercati, e questa mossa non è piaciuta molti. Alcuni accusano il governo di aver inventato una tassa nascosta a danno delle famiglie, altri di aver fatto un regalo ad aziende che producono buste di plastica e che sarebbero vicine al Pd. Per fare chiarezza, ecco alcune cose che è bene sapere:
1) Approvata ad agosto, la legge dispone il bando dei sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri utilizzati per imbustare frutta, verdura, carne, pesce e affettati, che sono così sostituiti da buste monouso biodegradabili e compostabili. Si tratta dei cosiddetti ‘sacchetti ortofrutta’ che usiamo per la pesatura delle merci nei supermercati.
2) Verdure sì, mozzarelle no. Come riporta il Sole 24 Ore, la norma si applica esclusivamente alle borse di plastica a parete sottilissima usate per fini di igiene. Questo esclude tutti gli altri tipi di sacchetto di plastica più spessa, come quelli in cui si mettono le mozzarelle o il pane, che possono essere omaggio e non devono essere biodegradabili.
3) Dal primo gennaio quindi “Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati”. L’obbligo nasce dall’esigenza di rendere il consumatore consapevole del costo e delle conseguenze nell’abuso degli imballaggi.
4) Secondo le prime rilevazioni compiute dall’Osservatorio di categoria, il prezzo dei sacchetti oscilla tra 1 e 3 centesimi di euro, e in Italia se ne consumano ogni anno tra i nove e i dieci miliardi. Se si considera che le famiglie italiane effettuano in media 139 spese l’anno (dall'analisi GFK-Eurisko presentati a Marca 2017), il costo complessivo per ciascuna famiglia sarà compreso tra i 4,17 euro e i 12,51 euro l’anno.
5) La legge, a differenza di quanto è stato detto, non è stata imposta dall’Europa. La direttiva comunitaria prescrive esclusivamente che le buste della spesa siano a pagamento. Più precisamente, la direttiva 2015/720 stabilisce che “Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron (i sacchetti ortofrutta, ndr) fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi”. Quindi l’Italia ha deciso autonomamente di imporre l’obbligo.
6) Portare le buste da casa è possibile, come ha spiegato Giuseppe Ruocco, segretario generale del Ministero della salute: “Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti. Il riutilizzo dei sacchetti determinerebbe infatti il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche”. Naturalmente spetta al titolare dell’esercizio commerciale “la facoltà di verificare l’idoneità dei sacchetti monouso introdotti”.
7) I negozianti non possono continuare a fornire sacchetti del vecchio tipo, utilizzando la scusa che “si devono finire le scorte”. Come ha spiegato a Eco delle Città Marco Versari, presidente di Assobioplastiche, “La questione delle scorte non esiste. Questa legge è stata notificata a Bruxelles a novembre dell’anno scorso. Ed è stata discussa in Parlamento nella primavera 2016. È un anno e mezzo che si conoscono perfettamente le tempistiche dell’entrata in vigore della legge”.
8) All’indomani dell’entrata in vigore della legge è diventata virale l’ipotesi secondo la quale la norma fosse stata creata per fare un regalino alla Novamont, azienda leader nella produzione del materiale utilizzato per la produzione dei sacchetti e ritenuta ‘in area’ Pd e vicina al segretario del partito Matteo Renzi. Al centro del fuoco di fila di alcuni quotidiani e di una ‘catena di Sant’Antonio’ girata sui social network, la figura dell’amministratore delegato di Novamont, Catia Bastioli, che sei anni fa è stata invitata a parlare alla Leopolda. In realtà la Novamont non produce sacchetti, ma solo la materia prima. L’intera filiera conta centocinquanta aziende, che sicuramente trarranno vantaggio dalla legge, ma non è una ragione sufficiente per parlare di ‘regalie’.
Un fact checking: “Ma alla fine, l'azienda Novamont produce sacchetti bio o no?”