La rivoluzione dei sacchetti di plastica è iniziata. No, non è un caso se enfatizziamo quella che doveva essere una semplice misura in favore dell’ambiente, una richiesta arrivata dall’Europa, un segno di civiltà. Una battaglia che invece, soprattutto sui social, ha assunto toni sempre più forti, ricca di imprecisioni, mezze bufale e accuse a partiti e associazioni. Da due giorni, su Twitter, non si parla d’altro con l’hashtag #sacchetti costantemente tra le prime posizioni nella classifica delle tendenze.
Facciamo un passo indietro
Dal primo gennaio sono al bando i sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri utilizzati per imbustare frutta e verdura, carne, pesce e affettati. Al loro posto gli utenti troveranno degli shopper biodegradabili e compostabili ma difficilmente riutilizzabili. E per molti questo non è l’unico problema. I famigerati sacchetti sono a pagamento. E incideranno nelle spese delle famiglie italiane. La cifra annuale, stimata dal Codacons, oscilla tra i 20 e i 50 euro. Una tassa che ha generato ironie e proteste. E ha costretto partiti ed enti a obbligate precisazioni.
E qui la parola 'illegale' suona come una forzatura, perché non c'è un prezzo calmierato, quanto piuttosto il buon senso che impone di non farli pagare oltre il costo di produzione, compreso generalmente tra 1 e 3 centesimi.
Le accuse ai “sacchetti”
L’indignazione del web sta percorrendo quattro direzioni principali: costano troppo; è un favore nei confronti di una ditta, la Novamont, presunta “amica” di Matteo Renzi; per principio dovrebbero essere gratis; è una politica che va contro le famiglie già tartassate da tasse e aumenti vari, dalle bollette ai caselli autostradali.
L’attacco a Renzi
C’è un nome che sta rimbalzando sui social accanto a quello del Segretario del Pd sulla questione “sacchetti”. È quello di Catia Bastioli, amministratore delegato della Novamont, azienda leader nella produzione dei contenitori biodegradabili che usiamo nei supermercati. Dagospia, riprendendo un articolo de Il Giornale, ha sottolineato la vicinanza nella manager all’ex Premier raccontando, ad esempio, la sua presenza sul palco della Leopolda. Tanto è bastato per scatenare sui social una miriade di commenti e illazioni contro il Governo. Denunce di presunti favori senza alcun tipo di verifica o factchecking. Stiamo infatti parlando di un provvedimento che è entrato in vigore in osservanza ad una direttiva europea per la quale l'Italia stava rischiando una procedura di infrazione. Ma sulla Rete vale tutto.
Soluzioni estreme
Il boicottaggio è partito attraverso la pubblicazione di foto e video su Twitter e Facebook. C’è chi, ad esempio, ha deciso di pesare e incollare gli scontrini delle bilance direttamente su ogni singolo frutto o verdura. Non importa se si tratta di mandarini o carote, banane o mele.
Non una soluzione molto intelligente, pare.
Ma negli altri Paesi come fanno? In Svizzera per esempio…
C’è chi mischia temi e tendenze. Pagare i sacchetti in bitcoin? Ci sembra difficile.
Poi arrivano quelli che auspicano che una diatriba del genere possa ridestare l’attenzione delle persone verso il produttore locale, il fruttivendolo di quartiere e i piccoli negozietti:
E chi, ancora più radicale, invita all’autoproduzione
Ma è davvero una questione capitale?
Quello della plastica non è un tema che può essere ignorato. Lo scorso giugno Legambiente lanciò una campagna, “Un sacco giusto”, per raccontare cosa si celi spesso dietro la produzione dei sacchetti in Italia. Con un testimone d’eccezione Fortunato Cerlino, alias il superboss di Gomorra Pietro Savastano, scelto per un motivo ben chiaro.
Ogni tanto, prima di postare qualsiasi cosa su Twitter e Facebook, non sarebbe meglio informarsi per cercare di capire meglio che tipo di battaglia si sta condividendo? Il rischio, altrimenti, è di raccontare qualcosa di molto importante ma da un punto di vista totalmente sbagliato o superficiale. Anche parlando di #sacchetti di plastica.