E’ forse spiazzante, per noi, l’attenzione che gli ispanofoni dedicano al modo di definire ciò che in italiano chiamiamo “cinguettìo” ma sempre più di rado, decisamente preferendo tout court il vocabolo inglese. Un acceso dibattito ha suscitato, proprio su Twitter, il popolare scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte, postando una lode all’espressione utilizzata da parecchi ispanoamericani per “tweet”: “trino”. “A momenti là ci danno lezioni sull’uso dell’idioma spagnolo”, ha commentato il papà del “Capitano Alatriste”.
Il suo post, ritwittato più di 800 volte, ha ricevuto 2.257 “mi piace”, ma ha anche scatenato un putiferio di reazioni, positive e negative fra i parlanti i vari idiomi della penisola iberica, specialmente catalani, che forse provano qualche risentimento per lo scrittore il quale non ha nascosto una posizione ostile al separatismo.
Ma che significa “trino”? Più o meno la stessa cosa di cinguettìo, gorgheggio, trillo degli uccelli, forse con più sapore, ma al gusto di Pérez-Reverte si aggiungono – o si contrappongono – quelli degli intervenuti al dibattito. Scopriamo così che parecchi catalani, lo sottolinea una lettrice, da tempo si riferiscono al tweet come “piulada” (e pare una chiara onomatopea), mentre i galiziani preferiscono “chío”.
Ciascuno nella sua lingua
Il dibattito si è parecchio animato per il sospetto che Pérez-Reverte abbia voluto dare al castigliano una supremazia sul catalano. Lui ha replicato: “Il catalano è la rispettabilissima lingua che parlano molti catalani. Il castigliano è la rispettabilissima lingua maggioritaria che si parla in Spagna. Lo spagnolo è la rispettabilissima lingua comune che parlano 500 milioni di ispanofoni”. La discussione si è infiammata talmente che lo scrittore ha anche “mandato al diavolo” un'intervenuta per qualche eccesso di puntiglio. “Il catalano, il galiziano e il basco – ha postato ancora – sono lingue spagnole, ma non panispaniche. Il castigliano (chiamato spagnolo al di fuori della Spagna per essere l’unica lingua comune di tutti gli spagnoli e ispanoamericani) sì che lo è. Lo usano 500 milioni di parlanti”.
Una cosa è certa: uno spagnolo correttamente non dovrebbe scrivere tweet ma tuit (come si pronuncia). Lo stabilisce la Real Academia Española, “custode della lingua”: questa voce, per inciso, è stata redatta dallo stesso Pérez-Reverte, il quale è membro della RAE nonché attivo utilizzatore della rete sociale con un milione 900 mila follower. Ecco dunque la definizione ufficiale di tuit: “Messaggio digitale che si invia attraverso la rete sociale Twitter e che non può superare un numero limitato di caratteri”.
Approccio assai diverso che in Italia rispetto ai termini stranieri (e questo certo non è l'unico), benché Pérez-Reverte lamenti, sempre nel dibattito odierno, che “niente è più vivo e in evoluzione dello spagnolo d’America, mentre in Spagna piuttosto agonizza”. Se lo dice lui.