L’industria va, la ripresa c’è, ma non basta. Il Paese continua a rimpicciolirsi demograficamente e l’occupazione è sempre più polarizzata. E gli italiani si mostrano rancorosi e nostalgici condizionando la domanda politica di chi è rimasto indietro. Un nuovo spettro, poi, si aggira sull’Italia del 2017: la paura del declassamento, una componente costitutiva della
psicologia dei Millennial. I più giovani sono pessimisti e tendono a lasciare il paese. Ma non sono gli unici problemi: il Paese è fragile. Letteralmente. E si ritrova periodicamente a fare i conti (in costi e vite umane) di terremoti, alluvioni e frane. Ecco la fotografia scattata dal rapporto del Censis in 10 punti.
L’Italia dei rancori
L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. Pessimisti anche i Millenial con l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso.
Gli italiani non sono ancora pronti a rompere con la tradizione: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa.
E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe, il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai.
Meno nascite e più trasferimenti all’estero
Riduzione della natalità, invecchiamento e calo della popolazione: per il secondo anno consecutivo, nel 2016 la popolazione è diminuita di 76.106 persone, dopo che nel 2015 si era ridotta di 130.061. Il tasso di natalità si è fermato a 7,8 per 1.000 residenti, segnando un nuovo minimo storico di bambini nati (solo 473.438). La compensazione assicurata dalla maggiore fertilità delle donne straniere si è ridotta. A fronte di un numero medio di 1,26 figli per donna italiana, il dato delle straniere è di 1,97, ma era di 2,43 nel 2010.
Nel 1991 i giovani di 0-34 anni (26,7 milioni) rappresentavano il 47,1% della popolazione, nel 2017 sono scesi al 34,3% (20,8 milioni). A questo poi si aggiunge la tendenza sempre più marcata a lasciare il Paese: i trasferimenti dei cittadini italiani nel 2016 sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010 (39.545). Così il ricambio generazionale non viene assicurato e il Paese invecchia: gli over 64 anni superano i 13,5 milioni (il 22,3% della popolazione).
Va su l'industria
Gli italiani vivono un quieto andare nella ripresa dopo i duri anni del “taglia e sopravvivi”. Tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4% in termini reali nei tre anni), segnando la risalita dopo il grande tonfo. Gli italiani hanno speso per ristorazione, cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici, trattamenti di bellezza, alberghi e pacchetti vacanze (+10,2%).
Sale (del 2,3%) anche la produzione industriale italiana nel primo semestre del 2017 è il migliore tra i principali Paesi europei (Germania e Spagna +2,1%, Regno Unito +1,9%, Francia +1,3%). E cresce al +4,1% nel terzo trimestre dell’anno. Il valore aggiunto per addetto nel manifatturiero è aumentato del 22,1% in sette anni, superando la produttività dei servizi. Inarrestabile è la capacità di esportare delle aziende del made in Italy: il saldo commerciale nel 2016 è pari a 99,6 miliardi di euro, quasi il doppio del saldo complessivo dell’export di beni (51,5 miliardi).
Brillano la creatività per il comparto moda, la tipicità per l’alimentare, il design nell’arredo. E nel comparto delle macchine utensili l’Italia ha raggiunto nel 2016 il 5° posto nel mondo per valore della produzione (dopo il colosso cinese, la Germania, il Giappone e a brevissima distanza dagli Usa) e il 3° tra i Paesi esportatori (dopo Germania e Giappone).
Il ritorno dei consumi
Gli italiani vivono un quieto andare nella ripresa dopo i duri anni del “taglia e sopravvivi”. Tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4% in termini reali nei tre anni), segnando la risalita dopo il grande tonfo. Gli italiani hanno speso per ristorazione, cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici, trattamenti di bellezza, alberghi e pacchetti vacanze (+10,2%).
Dopo gli anni del severo taglio dei consumi, torna il primato dello stile di vita. E il 78,2% degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce.
Il crollo del Sud
La polarizzazione non è solo tra chi gode dei benefici della ripresa, e chi è rimasto indietro, ma anche tra un Nord Italia e una capitale sempre più attrattivi e un Sud che offre sempre meno e che si sta letteralmente desertificando. Tra il 2012 e il 2017 nell'area romana gli abitanti del capoluogo sono aumentati del 9,9% e quelli dell'hinteland del 7,2%. A Milano l'incremento demografico è stato rispettivamente del 9% e del 4%, a Firenze del 7% e del 2,8%. Si spopolano invece le grandi città del Sud, a cominciare da Napoli, Palermo e Catania, dove affonda anche il Pil. Ma va male anche alle città intermedie come Torino, Genova e Bari.
Il mondo del lavoro è polarizzato
La piramide dell’occupazione mostra una parte degli italiani (la meno affollata) che è riuscita a resistere alla crisi e si è piazzata in cima. Chi svolge lavori meno qualificati è in fondo alla piramide. E l’altra parte che penalizza operai, artigiani e impiegati. Scompaiono le figure intermedie. Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell’11%, gli impiegat del 3,9%. Le professioni intellettuali invece crescono dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%).
Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery economy. Nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice.
Pochi laureati e mal pagati
Siamo penultimi in Europa per numero di laureati, con il 26,2% della popolazione di 30-34 anni, una situazione aggravata dalla forte spinta verso l'estero, che assorbe una buona quota di giovani qualificati. Quasi il 50% dei laureati italiani si dice pronto a trasferirsi all'estero anche perché, calcola il Censis, la retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea si aggira intorno a 1344 euro corrisposti per una assunzione nei confini nazionali ma arriva a 2.200 euro all'estero.
Un suolo troppo fragile
Alluvioni, terremoti e frane: il suolo italiano è in balia della Natura con costi altissimi. Oltre 10.000 le vittime, mentre i danni economici superano 290 miliardi di euro (circa 4 miliardi all’anno). Per ridurre il rischio idrogeologico esiste un quadro analitico di interventi (oltre 9.000) individuati dalle Regioni e una stima delle risorse necessarie pari a 26 miliardi di euro, ma l’impegno finanziario dello Stato su questo fronte è attualmente di circa 500 milioni di euro all’anno. L’adeguamento sismico del patrimonio edilizio residenziale costerebbe tra 70 (zone con pericolosità media e alta) e 100 miliardi di euro (comprese le zone con pericolosità bassa). Ci sono poi le perdite della rete idrica nazionale, pari al 39%, che arrivano al 59,3% a Cagliari, al 54,6% a Palermo, al 54,1% a Messina, al 52,3% a Bari, al 51,6% a Catania, al 44,1% a Roma.
Resiste il mito del posto fisso, scalzato dai social network
Nella mappa del nuovo immaginario collettivo - inteso come "l'insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuale e i percorsi esistenziali di ciascuno - i social network si posizionano al primo posto (32,7%). Poi resiste il mito del “posto fisso” (29,9%), però seguito a breve dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1%) e dal selfie (21,6%), prima della casa di proprietà (17,9%), del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9%) e dell’automobile nuova come oggetto del desiderio (7,4%). Nella composizione del nuovo immaginario collettivo il cinema è meno influente di un tempo (appena il 2,1% delle indicazioni) rispetto al ruolo egemonico conquistato dai social network (27,1%) e più in generale da internet (26,6%).
La sfiducia nei partiti
L’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. Non sorprende che i gruppi sociali più provati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo. L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica.