Per i furbetti che non vogliono pagare la mensa scolastica, la pena è durissima e colpisce direttamente i loro figli che, a pranzo con i compagni, si vedranno servire solo pane e olio, frutta e una bottiglia di acqua. Consumati in un tavolo a parte destinato ai bimbi che si portano il pranzo da casa. E’ quanto accade da lunedì nel Comune di Montevarchi, in provincia di Arezzo, su iniziativa della sindaca Silvia Chiassai Martini, da giugno 2016 alla guida di una giunta di centrodestra. Sul primo cittadino si è abbattuta una bufera e la vicenda è finita in Parlamento con un'interrogazione al ministro dell'Istruzione annunciata dai deputati Donati, Ermini, Becattini e Parrini.
“Un buco di 500mila uro per colpa dei furbetti”
“Nessun bambino resta senza mangiare o messo in un angolo perché vengono avvisati i genitori”, ha rassicurato il sindaco che – racconta Il Corriere – a giugno 2016 ha trovato un buco di circa 500mila euro, “derivante dalle morosità accumulate per mense e trasporti. Tengo a precisare che i genitori 'morosi’ non sono in difficoltà economiche, solo che con atteggiamento furbetto hanno accumulato mancati pagamenti”.
Per i bambini bisognosi la mensa è garantita
Silvia Chiassai spiega che la sua è “una decisione che mira a ristabilire la giustizia per tutti i cittadini. I bambini a cui è stato applicato il provvedimento non provengono da famiglie bisognose: per loro, il servizio di mensa e trasporto è garantito dagli assistenti sociali. Le famiglie di cui stiamo parlando oggi sono quelle che hanno fatto i furbetti, contando sulla mancanza di controlli”. Il sindaco giustifica la sua scelta precisando che: “Per un Comune come il nostro è una cifra importante”.
Le strategie anti-debito
Per recuperare il debito, - riporta La Stampa - l’amministrazione si è mossa su più fronti: prima ha richiesto i crediti accumulati negli anni e ha recuperato 211mila euro. Poi ha modificato il metodo di pagamento: ora si paga (5 euro) prima di consumare invece che a posteriori. I genitori morosi vengono avvertiti più volte con sms, avvisi e telefonate: la misura più drastica scatta solo al 31esimo giorno. “Un meccanismo – continua il sindaco – che in pochi giorni ha dato buoni risultati: da 38 alunni morosi ora siamo arrivati a 20”.
A Grosseto in classe senza pranzo
Il problema non riguarda solo Montevarchi. Nel mese scorso, il Comune di Grosseto aveva negato del tutto la mensa ai figli di genitori morosi. La misura è scattata il 16 ottobre per le 56 famiglie che non avevano ancora sborsato un euro che hanno dovuto presentarsi a scuola all'ora di pranzo, prelevare il proprio figlio e riportarlo in classe un'ora dopo, a pasto avvenuto.
“Ci siamo accorti che c'erano tantissime famiglie che non pagavano la mensa - spiega a Repubblica l'assessora all'educazione, Chiara Veltroni - su 4mila iscritti, mille morosi. Dovevamo ripristinare una condizione di equità e legalità, per rispetto dei genitori che hanno sempre pagato”.
Da qui la scelta di mandare raccomandate, e-mail e fax, oltre che telefonare casa per casa, per sollecitare i pagamenti, proponendo anche la rateizzazione: “La mensa costa da 1,20 a 7 euro ed è calibrata in base all'Isee, tanto che è gratuita per chi è in situazioni di indigenza - precisa Veltroni - non colpiamo persone in difficoltà, ma chiediamo di saldare il conto a chi non l'ha fatto perché non lo voleva fare o perché se ne era dimenticato”. E la cura drastica del Comune sembra aver funzionato, visto che da maggio a venerdì scorso i morosi sono scesi da 1.042 a una cinquantina.
E gli altri casi
“L’equazione non paghi-non mangi purtroppo è ancora una volta attuale”, si legge nel rapporto di Save The Children “(Non) tutti a mensa” 2017. “Anche nel corso dell’anno scolastico 2016/2017 diversi sono stati i casi di cronaca che raccontano il rivalersi delle giunte comunali nei confronti dei figli dei genitori morosi. La proliferazione delle cattive prassi relative alla mancata inclusione dei bambini figli di genitori impossibilitati a saldare la retta si riscontra, oltre che nei 9 comuni mappati (Brescia, Foggia, Novara, Palermo, Reggio Calabria, Salerno, Sassari, Siracusa e Taranto), in altri casi denunciati in tutta Italia. Nello scorrere la rassegna stampa degli ultimi anni scolastici non si registra una tendenza di miglioramento delle politiche di esclusione; al contrario tali cattive prassi proseguono e si diffondono tra Nord e Sud, dimostrando logiche politiche e decisorie lontane dai diritti sanciti dall’articolo 3 della Costituzione, dell’articolo 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e che poco hanno a che vedere con il rispetto del superiore interesse del minore”.
Al contrario – continua l’organizzazione – “ai numerosi casi raccontati nello scorso monitoraggio, si aggiungono quelli del comune di Baranzate, nel milanese, dove è stato negato il pasto ai bambini figli di genitori morosi; tra questi bambini, per quelli che non si erano portati il pranzo da casa, è stato dato loro un pasto frugale, un panino e un frutto, che hanno dovuto consumare però su banchi separati. Ai bambini, infatti, è stata inflitta l’umiliazione di veder disposti i loro banchi ai margini, mentre quelli dei bambini figli di genitori in regola con i pagamenti erano disposti al centro. Tale pratica di differenziazione discriminatoria non è una novità: come nei casi citati nei monitoraggi scorsi del comune di Corsico, in cui il Sindaco lo scorso anno affermò che “i figli dei genitori morosi nel caso non aderiscano al piano di rientro, accederanno comunque alla mensa, ma verranno messi in disparte rispetto a coloro che hanno i requisiti di accesso”, o come avvenuto nel comune di Gignod, Valle d’Aosta, dove a settembre 2016 quattro bambini erano stati costretti a saltare il pranzo mentre i loro compagni mangiavano nella stessa”.
“Sbagliato punire i bambini”
Una mossa sbagliata sotto tutti i fronti per Save The Children. “La morosità deve esser certamente combattuta, ma le strategie di recupero crediti dei comuni dovrebbero operare per vie esattoriali, con strumenti che non prevedano il coinvolgimento dei bambini. Tali prassi non fanno altro che aumentare le diseguaglianze sociali di appartenenza e fanno ricadere così il peso delle difficoltà economiche dei genitori direttamente sulle spalle dei bambini. Le separazioni imposte agli alunni durante il tempo dedicato al pasto, un tempo che al contrario dovrebbe esser vissuto come un’occasione educativa e di integrazione sociale, oltre che di educazione alimentare e di sana alimentazione, diventa così un momento in cui i bambini vivono una forte discriminazione”.
La metà dei bambini italiani possono accedere alla mensa
Ma quanti sono i bambini che possono accedere alla mensa? Gli alunni in Italia iscritti alle primarie delle scuole statali per l’a.s. 2016/2017 secondo i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (MIUR) sono 2.572.969, divisi in 131.372 classi, a loro volta inserite in 15.088 sedi scolastiche statali. “Tra questi milioni di bambini poco meno della metà non possono accedere alla mensa scolastica, non avendo dunque la possibilità di usufruire di tutti i benefici che essa comporta in termini nutrizionali quanto educativi. Per comprendere la vastità del problema della mancanza di accesso al servizio, basti pensare che nell’anno scolastico 2015/2016 solo il 52% circa degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado ha avuto accesso alla mensa.
Con una grossa differenza tra il Sud e Nord è molto ampia, così come le alte percentuali di mancato accesso al servizio mensa in tutta Italia vengono di fatto confermate.
Si va da un’altissima percentuale di alunni che non usufruiscono della mensa
- Sicilia (80,04%),
- Puglia (73,10%),
- Molise (69,34%),
- Campania (64,58%)
- Calabria (63,11%)
a percentuali sotto il 30% per le regioni
- Piemonte (28,85%)
- Liguria (29,86%).