"Avevo le dita fredde come ghiaccio quando ho dato il comando di accendere il motore di apogeo…quella è stata l'emozione più grande". Stefano Trumpy ricorda, a quarant'anni di distanza, l'avventura del lancio di Sirio (acronimo per Satellite italiano di ricerca industriale e operativa), il primo satellite per telecomunicazioni di costruzione tutta italiana messo in orbita.
Era da poco sceso il tramonto del 25 agosto 1977 a Cape Canaveral, negli Stati Uniti, le 19.50 ora locale, quasi le due di notte del 26 in Italia, e quel vettore di circa 400 kg lanciato verso le profondità dello spazio consacrava il lavoro di decine e decine di persone che si erano impegnate nel progetto a ritmi frenetici negli ultimi due anni, dalla firma del contratto tra la Nasa e il Cnr nel marzo 1975.
Il cambiamento nella politica della Nasa e la trasferta del team italiano
Proprio pochi mesi prima, nella seconda metà del 1974, l’Agenzia spaziale statunitense aveva modificato la sua politica, decidendo di non prendersi più la responsabilità delle operazioni orbitali dei satelliti non americani, limitandosi alla fornitura dei servizi di lancio e all’assistenza tecnica. Quella decisione aveva determinato una qualche difficoltà all’Italia, che non era dotata delle capacità necessarie per supplire in proprio. D’altra parte, era stata anche una spinta decisiva per la creazione di un team tutto italiano per farsi carico del controllo dell’orbita e dell’assetto.
Il Cnr – racconta l’ingegnere, oggi presidente di Internet Society Italy - allora guidato da Alessandro Faedo, chiese al Cnuce (Centro nazionale universitario di calcolo elettrico) di “creare in tempi rapidi un gruppo di esperti in software, con competenza nel settore della dinamica celeste, che doveva lavorare con continuità presso il Goddard Space Flight Center (GSFC) della Nasa in Maryland". Il gruppo venne poi ampliato fino a otto persone, che erano in stretto contatto con chi aveva costruito il satellite – Cia, Compagnia Industriale Aerospaziale - che con Telespazio incaricata di controllare il satellite nello spazio. “Ero esaltato all’idea di lavorare alla Nasa”, confessa Trumpy, che nel marzo 1977 venne nominato Flight Operation Manager per il lancio e la messa in orbita geostazionaria del satellite Sirio.
Tante responsabilità, tante polemiche
Un’enorme responsabilità, tanto lavoro, una continua lotta contro il tempo, che non venne turbata neanche dalle polemiche che si erano scatenate in Italia a ridosso del lancio. I socialisti avevano polemizzato sul costo del progetto, chiedendo al governo di sapere se avesse superato di molto le previsioni iniziali, l’Espresso era uscito con un servizio intitolato “Programma Sirio. Via via, quanti miliardi vuole la CIA (Compagnia Industriale Aerospaziale)”, mentre su Panorama si leggeva “Satellite Sirio: spazio alle critiche”. “C’era da organizzare un lavoro che doveva essere fatto in tempi brevi, non stavo troppo a seguire quelle polemiche”, minimizza oggi Trumpy.
Sirio va in orbita
Si arrivò così all’agosto del 1977. La data del lancio era stata inizialmente annunciata per il 17 agosto, poi anticipata per il 14 e infine era stata stabilita per il 16. Ma un problema tecnico costrinse la Nasa a rinviare il lancio di Sirio. La sonda Voyager, realizzata per esplorare i confini del sistema solare e anche lei programmata per partire, ma qualche giorno dopo il satellite italiano, si ritrovò prima in scaletta e prese il volo il 20 agosto. Per Sirio si dovette attendere il 25 agosto, dopo un logorante balletto di date.
“Noi eravamo al centro di controllo al Goddard”, ricorda l’ingegnere. Gli orologi segnavano le 19.50 ora locale, l’1.50 di notte in Italia, quando il satellite venne lanciato. Una volta ultimato il trasferimento, la responsabilità delle operazioni passò alla squadra italiana. Dal Maryland, “diedi io il comando di accendere il motore di apogeo”, per rendere l’orbita circolare e conseguentemente geostazionaria. “Avevo le dita fredde come ghiaccio, l’emozione più grande. E anche una bella responsabilità, c’erano una settantina di ingegneri italiani coinvolti tra lì e Cape Canaveral”.
"Dopo 10 giorni eravamo già quasi all’orbita finale, accendemmo l’antenna, poi ci furono dei controlli per preparare la procedura di hand dover dalla Nasa, insieme al Cnr, al controllo italiano e dal 30 settembre la gestione delle funzioni operative passò a Telespazio”. “Ma – sottolinea Trumpy - i sistemi di software e la responsabilità di manovra restò in capo al Cnuce”.
Un decennio di attività
Con il carburante speciale a disposizione, Sirio era stato preventivato che rimanesse operativo almeno due anni. In realtà, grazie a un minore consumo di energia, il satellite italiano restò in attività per un decennio. Costruito per studiare la propagazione delle onde radio ad alte frequenze, tra i 12 e i 18 Ghz, al fine di sviluppare nuove possibilità per le comunicazioni telefoniche e televisive via satellite, il satellite venne posizionato in un punto sovrastante le isole Canarie e la costa africana e lì rimase per 5 anni, fino al 1983.
Allora, in base a un accordo tra il Cnr e il Cast (Chinese Academy of Space and Technology), il satellite italiano fu riposizionato per i successivi due anni per permettere sperimentazioni da parte di Pechino. Infine, “nel 1985 il carburante era praticamente finito e si decise di portare avanti il progetto ancora per un paio d’anni, ma senza più fare correzioni d’orbita, in modo da permettere comunque ulteriori sperimentazioni. L’ultimissima manovra avvenne in occasione del decennale del lancio”. Da quel momento è finita la sua vita operativa.
Ma Sirio si trova ancora lassù, in un’orbita circolare intorno al nostro pianeta a 36mila km di altezza. Come sottolinea Trumpy, “non dovrebbe mai tornare sulla Terra stando in quell’orbita, e ci resterà per diversi millenni. I rientri non sono assolutamente prevedibili ma – aggiunge - si sa esattamente dov’è”. A questo link è stata registrata la sua posizione il 29 giugno scorso, a quasi 40 anni dal lancio.