L'Italia è una "porta d'Europa" per i migranti che, nel futuro, saranno sempre di più, e non solo profughi di guerra. Per questo sarà importante "abituarsi al diverso". A parlare è Svetlana Aleksievic, 69 anni, giornalista e scrittrice nata in Ucraina da padre bielorusso e madre ucraina. Nobel della Letteratura nel 2015, era nei giorni scorsi a Ischia per ritirare il suo ultimo riconoscimento in ordine di tempo, nell'ambito della 38esima edizione del Premio che porta il nome dell'isola ed è dedicato al giornalismo e ai diritti umani.
In un'intervista all'AGI Svetlana - che ha raccontato con rigore e asciuttezza l'Urss e l'ex Urss nel XX secolo, dalla guerra in Afghanistan alla dissidenza (lei stessa è stata perseguitata dal regime bielorusso di Aleksandr Lukasenko), al disastro di Chernobyl e ai suicidi post crollo dell'Unione Sovietica - ha parlato di migranti, di giornalismo e di donne.
In Italia, l'ultimo suo lavoro tradotto è edito da Bompiani nel 2016, "Gli ultimi testimoni", dedicato ai conflitti, questa volta visti con gli occhi dei bambini. Un testo pubblicato per la prima volta nel 1985 e subito bandito dal regime sovietico perchè raccontava la storia fuori dalla versione ufficiale.
Com'è l'Italia vista da Minsk? Quanto è lontana?
"E' un altro mondo, un'altra vita. La cosa comune per tutti nelle repubbliche ex sovietiche, è che tutti vivono sulle rovine di grande impero e sono concentrati su loro stessi. La vita in altri luoghi del mondo è vista come lontana, poco comprensibile. Dell'Italia sappiamo che ha dei problemi con i profughi, che è la porta d'Europa per i migranti. E dell'Italia sentiamo di più, proprio a causa di questo più grande conflitto del mondo moderno, il mondo e i profughi. Purtroppo dobbiamo prepararci... i profughi diventeranno sempre di più e non solo profughi di guerre, ma anche per motivi ecologici. Dobbiamo abituarci a vivere con il diverso".
Il rapporto tra stampa e potere in Russia continua ad essere un nodo cruciale. Ci sono margini per un cambiamento positivo?
"Il rapporto tra la stampa e Putin oggi lo definirei crudele. Se durante presidenza di Eltsin c'era una certa libertà di stampa, oggi non c'è, c'è una filosofia di 'putinismò. Tutta la stampa segue questa filosofia di sostegno a Putin e i dissidenti vanno tenuti fuori. Oggi i tempi sono ancora più difficili perchè oltre al conflitto con il potere c'è conflitto con popolo. Il popolo ha l'euforia patriottica e vuole bene al suo leader autoritario. Quindi per me questo conflitto rende ancora più complicato il rapporto".
Lei ha fatto la reporter in situazioni difficili anche per un uomo. Nel XXI secolo esistono differenze di genere nel giornalismo?
"Mi ricordo la mia prima sensazione della guerra in Afghanistan, quando siamo atterrati in Kabul. C'è chiasso, ronzio dappertutto. Vedo che gli uomini non vi pongono attenzione, come fosse per loro normale. Quando ho visto il primo ucciso, ho avuto una scossa e ho capito che gli uomini erano ostaggi di cultura della guerra. Gli dicono che devono difendere il paese, andare a servire nell'esercito e li fanno abituare al pensiero che uccidere è normale. Per me e per protagoniste dei miei libri non è così. Per noi la guerra è prima di tutto uccidere. Direi che esiste un modo femminile e uno maschile di vedere le cose. E anche oggi quando incontro le donne o vedo che i loro libri, vedo che i pensieri sono diversi".
Svetlana Aleksievic premiata a Ischia
Che confini un cronista deve darsi per raccontare una tragedia collettiva come quella di Chernobyl o tragedie personali come i suicidi dopo il crollo dell'Urss?
"E' la domanda che mi facevano sempre, specialmente durante il lavoro al libro 'Il tempo di seconda mano'. Ho deciso che non dovevo prendere la parte di nessuno, dare possibilità di parlare a tutti, ma stare dalla parte del Bene. Una donna comunista una volta mi ha chiesto 'perchè mi chiede queste cose? Non le scriverà maì. Invece ho pubblicato tutto, la confessione di un carnefice di Stalin, quella di un funzionario comunista. Ognuno aveva la sua verità e ho pubblicato tutto per dare un quadro completo di quei tempi. Ma per me, sapevo sempre di stare da parte del Bene".
Cosa devono imparare i giovani reporter dal vecchio modo di fare giornalismo?
"I giornalisti della mia generazione si sono formati in continua lotta con il potere, con un mondo di idee democratiche diverse e sanno che cos'è la giustizia. Invece i giornalisti moderni, almeno quelli che ho incontrato, non sempre capiscono appieno in che mondo complesso viviamo e che ognuno di noi deve fare la scelta tra il Bene e il Male. Perché il Bene e il Male esistono. Ci sono nuovi inaspettati volti del Male, come terrorismo, che noi non aspettavamo e con cui fare i conti. Dalla mia generazione, i giornalisti dovrebbero imparare le qualità combattive. Ma invidio i giovani, perché vivono in un mondo di idee e gerarchie nuove. A me, persona di vecchia generazione, tutto questo sembra molto interessante".