Dietro l'hotel Rigopiano Gran Sasso Resort il bosco di faggi è tagliato con precisione da quella che sembra una pista di sci creata artificialmente. Non è così: è stata la valanga di mercoledì 18 gennaio che alle 17,30 da 1.600 di quota ha sradicato il bosco per poi abbattersi, a quota 1.200, sull'albergo, seminando la morte tra i 40 occupanti. Entrando tra le rovine dell'hotel, con ai piedi i ramponi da ghiaccio e al petto l'apparato per il ritrovamento travolti valanghe (Artva), lo spettacolo è sconcertante: per circa 400 metri a valle dell'edificio si vedono automobili conficcate in verticale nella neve, mentre l'area del resort è un tappeto di detriti misti a neve e ghiaccio.
Camminando tra queste rovine nel freddo pungente si può avere l'idea di che cosa hanno dovuto affrontare i soccorritori che da oltre sette giorni lavorano 24 ore su 24 in condizioni proibitive. E fuori dalla retorica la definizione che viene spontanea, ovvero che sono degli 'eroi del quotidiano'. Tra le macerie anche una nota di tenerezza: i cani dei vari gruppi cinofili, ormai liberi dall'impegno di cercare superstiti, saltano affettuosamente addosso ai loro 'partner umani'.
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E' veramente difficile poter descrivere ciò che si prova guardando in prima persona il teatro di un dramma di cui informiamo l'opinione pubblica da oltre una settimana. Dopo aver assistito a uno spettacolo del genere viene voglia di consigliare ai tanti commentatori che seminano giudizi di farsi un giro su questa montagna prima di distribuire 'perle di saggezza'. Forse ne guadagnerebbero tutti, anche loro.