Roma - Indizi come "tessere di un mosaico" che "hanno contribuito a creare un quadro d'insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi, oltre ogni ragionevole dubbio". Lo scrive la Quinta sezione penale della Cassazione, nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso dicembre, rese definitiva la condanna a 16 anni di carcere per Stasi in relazione all'omicidio della sua ex fidanzata Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007. "Molteplici elementi, considerati senza illogicita', di sicura valenza indiziaria" sono stati "valutati globalmente", si legge nella sentenza, lunga 115 pagine, deposita oggi - dalla Corte territoriale, con motivazione immune da vizi, convergenti verso la responsabilita' dell'imputato per l'omicidio della fidanzata": secondo la Suprema Corte "ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico". Un quadro del genere "non lascia alcuno spazio a versioni alternative dotate di razionalita' e plausibilita' pratica": non sono sostenibili, osservano i giudici di piazza Cavour, in base ai dati acquisiti al processo "quelle pure ipotizzate dalla difesa dell'imputato o di fatto, comunque, scandagliate, analizzando la vita di Chiara, le sue frequentazioni, il suo ambito familiare".
Chiara e' dunque stata uccisa "da una persona conosciuta, arrivata da sola in bicicletta, che ella stessa ha fatto entrare in casa. Chi ha fatto ingresso nell'abitazione la conosceva bene - osservano i supremi giudici - come desumibile anche dal percorso effettuato all'interno delle stanze al piano terra". Quanto all'alibi di Alberto Stasi, la Corte sottolinea che quello fornito "non lo elimina dalla scena del crimine nella 'finestra temporale' compatibile con la commissione dell'omicidio". I giudici di 'palazzaccio' rilevano quindi che "del tutto correttamente" i giudici d'appello-bis "hanno ribadito che la ricostruzione che intende attribuire l'omicidio di Chiara Poggi ad un ignoto ladro si presenta appunto distante dal senso comune delle cose".
Inoltre Alberto Stasi "ha reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata sostenendo di aver attraversato di corsa i diversi locali della villetta per cercare Chiara; sulle sue scarpe, tuttavia, non e' stata rinvenuta traccia di residui ematici, ne' le macchie di sangue sul pavimento sono risultate modificate dal suo passaggio", si legge ancora nelle motivazioni della sentenza. "Neppure sui tappetini dell'auto - osservano i giudici - sulla quale egli stesso ha sostenuto di essere risalito immediatamente dopo la scoperta di Chiara, sono state rinvenute tracce di sangue per trasferimento dalle scarpe, il racconto dell'imputato, anche con il riferimento all'indicazione delle modalita' di rinvenimento del corpo di Chiara (con la parte visibile del volto bianca, invece che completamente ricoperta di sangue) e' assimilabile - si sottolinea in sentenza - a quello dell'aggressore, non dello scopritore.
Secondo la Cassazione, l'andamento delle indagini è stato"senz'altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialita'"; "anomala" la "scelta di non sequestrare nell'immediatezza la 'bicicletta nera da donna' della famiglia Stasi, o quantomeno di fotografarla, e di sequestrare invece a distanza, per altro, di una settimana dai fatti, due biciclette, di cui almeno completamente diversa da quella descritta dalle due testimoni e sulla quale si sono poi incentrati tutti gli accertamenti compiuti nel corso dei giudizi fino a quello di rinvio". Tale scelta, osserva la Cassazione, "e' stata correttamente individuata come un evento che ha avuto indubbie ripercussioni negative sull'andamento delle indagini": la mancata acquisizione 'tutte' le biciclette nella disponibilita' della famiglia Stasi a distanza di poche ore dai fatti "puo' senz'altro dirsi - si legge nella sentenza depositata oggi - un anello mancante nell'attivita' di indagine compiuta in merito all'omicidio di Chiara Poggi".
Infine i giudici motivano il 'no' all'aggravante della crudelta' per Alberto Stasi poiche' "ne' la dinamica omicidiaria in generale, culminata con il lancio del corpo di Chiara Poggi lungo la scala d'accesso al cantinato, ne' le specifiche modalita' esecutive del delitto ed i tempi di inflizione dei colpi alla testa della vittima, ne' il mezzo utilizzato in se', denotano la volonta' di Alberto Stasi di infliggere alla fidanzata sofferenze trascendenti il normale processo di causazione della morte, tale da costituire un elemento aggiuntivo", un "quid pluris" rispetto all'attivita' necessaria ai fini della consumazione del reato".
"La condotta ascritta all'imputato e' stata commessa con dolo d'impeto": alimentano la considerazione "di un'azione lesiva commessa con estrema rapidita' - si spiega nella sentenza - le modalita' del fatto connotato da un rapido susseguirsi di colpi di martello al capo della vittima, sferrati all'ingresso dell'abitazione, con rabbia ed emotivita', espressione 'di un rapporto di intimita' scatenante una emotivita''". Nel caso di specie "le modalita' dell'omicidio lasciano insinuare il ragionevole dubbio in merito alla volonta' dell'imputato di infliggere sofferenze gratuite a Chiara, atteso che - conclude la Cassazione - la ricostruzione del pg, a fronte di quella ritenuta plausibile dalla corte territoriale (circa il mero intento di Alberto Stasi di disfarsi di Chiara), non appare supportata da elementi altrettanto convincenti, come quelli considerati dai giudici del rinvio". (AGI)