Enna - Un chiodo per riconquistare la libertà. "Ho lavorato molto su quella porta dietro la quale eravamo rinchiusi. Con un chiodo ho capito che si poteva fare molto. Ho lavorato sulla serratura, un legno duro, ma con la caparbia ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino: 'Forza, se dai due colpi siamo fuori', gli dicevo. E così è stato". Lo racconta Filippo Calcagno parlando con i giornalisti nella sua Piazza Armerina, nell'Ennese, dove è rientrato ieri. "Il giorno prima pensavo di non farcela a uscire ed ero addolorato e mi dicevo li ho delusi, ma per fortuna è andata diversamente. Dopo avere superato la prima porta, pensavamo che c'era la porta esterna, ma si è aperta facilmente. Ci siamo camuffati perché avevamo paura che qualche altro gruppo ci prendesse e una volta fuori abbiamo cercato la polizia che pensavamo fosse l'unica a poterci aiutarci. Il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Poi sono tornato indietro con la polizia per il riconoscimento della casa".
Tutti e quattro nello stesso appartamento
Il tecnico della Bonatti rapito in Libia insieme a tre colleghi ha raccontato alcuni dei momenti più drammatici della terribile esperienza del sequestro, durato quasi otto mesi. Insieme con Gino Pollicardo, Fausto Piano e Salvatore Failla (i due tecnici della Bonatti uccisi in una sparatoria a Sabrata) ha trascorso quei mesi insieme nello stesso appartamento fino al primo marzo. "Pensavamo di essere in un incubo, ma cercavamo di restare lucidi, con la mente chiara, di non sbagliare data, era un esercizio che ci imponevamo, e ci siamo riusciti, tranne per il 29 febbraio che ci ha ingannato, tant'e' che nel nostro messaggio abbiamo detto che era il 5 marzo. Fino al 'nostro' 2 marzo e il vostro primo eravamo insieme tutti e quattro: io, Gino, Salvatore e Fausto. Poi ci hanno divisi. Ci avevano detto che 'era tutto finito', ci hanno dato delle tute poi hanno portato via Piano e Failla, mentre noi siamo rimasti dentro. Ci chiedavamo perché...". E' stato "un incubo atroce". Poi si commuove per i due colleghi che non ce l'hanno fatta.
La moglie, ancora provato e addolorato per i colleghi
In mano a criminali, c'erano delle donne e un bimbo
Non so se eravamo in mano all'Isis o a delinquenti. Lo stabiliranno altri. Ma certamente eravamo tenuti da criminali. Perché solo criminali possono fare queste cose. C'erano delle donne e un bambino... una famiglia di delinquenti e di criminali", ha continuato a raccontare Calcagno ai giornalisti. "Abbiamo sofferto la fame, la sete - ha spiegato - i pugni, i colpi di fucile, costretti a fare i bisogni dentro una cosa di plastica". I quattro tecnici della Bonatti rapiti a luglio pensavano comunque che sarebbe arrivato il giorno della loro liberazione: "Pensavamo che saremmo tornati a casa. Soprattutto Salvatore. Aveva fiducia, 'forza che ce la facciamo', diceva. Il primo ricordo è per loro che non ci sono più, per Fausto Piano e Salvatore Failla - ha aggiunto - immagino con dolore cosa stiano provando le famiglie. Noi abbiamo avuto la fortuna di ritornare, gli altri no. Spero di incontrare le famiglie. Vedremo". Salvatore Failla, "l'ho conosciuto bene in questi otto mesi, prima ci eravamo visti un paio di mesi. Con Gino Pollicardo siamo entrati quasi insieme alla Bonatti".
L’attesa per i corpi di Failla e Piano
Intanto cresce l’attesa per il rimpatrio delle salme di Fausto Piano e Salvatore Failla. I familiari speravano che i corpi dei loro cari fossero sullo stesso aereo che ha riportato a casa Pollicardo e Calcagno. Ma le autorità di Tripoli hanno deciso di fare le autopsie in loco.
"Attendo dal governo risposte perché la salma di mio marito torni integra in Italia - ha fatto sapere la moglie di Salvatore Failla, Rosalba Scorpo, attraverso il legale di famiglia, Francesco Caroleo Grimaldi - sono molto stanca e provata ma ribadiamo che l'autopsia deve essere eseguita in Italia". E ha aggiunto: "Non abbiamo ancora notizie sul rientro della salma".
Renzi, non è un videogame. Italia non andrà in guerra
Intanto il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, fa sapere che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha intenzione di convocare nelle prossime settimane il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha sottolineato: "La Libia è un territorio senza Stato. Non ci dobbiamo stancare di cercare il filo che ci può portare alla ricostruzione dei fatti. La magistratura ha gli strumenti e la cultura per poter fare questo tipo di indagini".
(AGI)