Catanzaro - "Senza la presenza degli immigrati l'agrumicoltura di Rosarno sarebbe destinata a scomparire. L'utilizzo di braccianti africani, costretti a lavorare in condizioni disumane, sopperisce alla mancanza di manodopera locale e contribuisce a tenere in vita un comparto che rappresenta una tradizionale fonte di reddito in un territorio che non ha ottenuto grandi benefici economici dalla presenza del piu' importante porto di transhipment del Mediterraneo". Il presidente del Dipartimento Calabria dell'Associazione Nazionale Sociologi, Antonio Latella, parla della situazione dei migranti nella piana di Gioia Tauro a sei anni dalla rivolta. I braccianti impiegati nella raccolta degli agrumi a Rosarno, nel Reggino, si ribellarono a condizioni di vita e di lavoro pesanti, denunciando atti di intolleranza nei loro confronti. La situazione non sembra essere cambiata: allora i braccianti trovavano ricovero in una fabbrica dismessa; oggi sono alloggiati in una tendopoli in condizioni igienico-sanitarie non meno preoccupanti. Una polveriera che secondo quanto denunciano in questi giorni i media locali e gli operatori umanitari potrebe scoppiare di nuovo. L'Agi ha raccolto l'opinione dei sociologi. Latella evidenzia "l'assoluta mancanza di una politica nazionale tesa a agevolare la presenza di una risorsa, quella delle braccia degli immigrati, indispensabile per il comparto agricolo non solo calabrese ma anche del Mezzogiorno. Dopo le rivolta di Rosarno del 2010 - aggiunge - il problema degli immigrati non è stato affrontato alla radice e oggi, sette anni dopo quegli episodi, la situazione è peggiorata dal punto di vista delle strutture per l'accoglienza e, dall'analisi di alcuni recenti episodi di intolleranza, non sono stati fatti grandi passi avanti nel difficile cammino dell'integrazione".
Giuseppe Bianco, sociologo dirigente della stessa Ans calabrese, evidenzia che "se la situazione a Rosarno è rimasta sostanzialmente identica a quella di sette anni fa non è azzardato parlare di lassismo della politica e di scarsa rilevanza dello Stato in alcune dinamiche sociali che riguardano la Calabria. Attivarsi in maniera organica per gestire questa problematica - dice - è un dovere delle istituzioni che necessitano anche della collaborazione dei cittadini. Ricordarci - conclude Giuseppe Bianco - di alcune dinamiche socialmente inammissibili soltanto negli anniversari di tragici eventi rimane, purtroppo, un'usanza tutta italiana, di sicuro non orientata alla soluzione dei problemi". Per Maria Rita Mallamaci, vicepresidente dell'associazione dei sociologi in Calabria, "oltre ai disagi legati alla precarietà della tendopoli, c'è anche l'impossibilità delle associazioni che, nonostante impegno e sacrificio, non riescono a rivolvere i problemi della quotidianità. C'è poi - dice Mallamaci - l'aspetto legato all'accoglienza in una comunità, quella di Rosarno, al cui interno convivono cittadini estremamente sensibili alla presenza degli immigrati ed altri che non praticano la cultura dell'accoglienza". Un altro aspetto, spiega la sociologa, è la mancanza di fondi che potrebbero agevolare l'autogestione della situazione logistica e delle condizioni lavorative, soprattutto durante la campagna agrumicola quando l'aumento del numero dei braccianti provoca anche uno scontro tra culture presenti all'interno della stessa comunità di immigrati". (AGI)
(8 gennaio 2016)